Non ci si lasci ingannare dal linguaggio popolare e dalla narrativa disimpegnata degli albi di Diabolik. Tra i fumetti di genere italiani, è uno dei più difficili da concepire, strutturato su un modello formale dagli stilemi estremamente rigorosi che hanno concesso ben poche licenze agli autori che si sono avvicendati sulla serie nel corso degli anni.
Nonostante la popolarità, Diabolik ha ricevuto pochissime trasposizioni.
C'è stato il film di Mario Bava, del 1968, con la colonna sonora di Ennio Morricone, diventato un cult più all'estero che nel nostro paese; poi alcuni videogiochi men che mediocri sviluppati da un paio di software house italiane, un pregevole sceneggiato radiofonico per la RAI e una serie animata della Saban che aveva pochissimo a che vedere con l'opera originale. Nel corso degli anni, la casa editrice Astorina ha respinto molte richieste di adattamenti, alcune delle quali anche molto allettanti, finché i Manetti Bros. hanno proposto un approccio che ricalcasse in modo quasi reverenziale lo stile del fumetto, una trasposizione letterale che è croce e delizia del film.
Prendiamo ad esempio Il Signore degli Anelli, un romanzo fantasy scritto negli anni '50 da Tolkien, un autore sessantenne reduce della Prima Guerra Mondiale. Quando Peter Jackson lo ha trasposto sul grande schermo, ha dovuto adattarlo secondo le sensibilità e i gusti del pubblico degli anni 2000. Per dirne una, ha preso la battaglia al Fosso di Helm, uno dei capitoli più brevi del romanzo e l'ha trasformata in una magniloquente battaglia di circa un'ora infarcita di mirabolanti gag slapstick. Jackson ha dichiarato in proposito: "Tolkien si sarà ribaltato nella tomba ma noi avevamo il compito di adattare il testo per il pubblico di oggi." In effetti, i puristi dello scrittore sono rimasti indispettiti ma la trilogia è stata un successo globale ed ha fatto incetta di Oscar.
Ecco, i Manetti Bros. hanno fatto l'esatto opposto. Sono stati ben attenti a non far ribaltare nella tomba le sorelle Giussani, creatrici di Diabolik. Una scelta apprezzabile e condivisibile, col rischio, però, di ottenere risultati opposti a quelli di Jackson. Il film è l'adattamento letterale, vignetta per vignetta, dello storico n. 3 della serie regolare, L'arresto di Diabolik, nel quale veniva introdotta Eva Kant, una delle figure femminili più emancipate e rivoluzionarie del fumetto mondiale. Rispetto all'albo originale, viene aggiunta nell'ultima parte una dinamica heist per dare un apice allo scontro, perlopiù a distanza, tra Diabolik e Ginko.
La ricostruzione scenografica anni '60 riflette l'eleganza formale della regia e restituisce una Clerville ibrida tra metropoli statunitense e scorci e dettagli tutti italiani. La storia potrebbe risultare lenta ad un pubblico abituato ai ritmi dei blockbuster contemporanei ed è strutturata su dinamiche ingenue tipiche dei fumetti dell'epoca. Vien fuori un prodotto che mescola suggestioni da noir francese ad elementi pop tipici di un classico James Bond o della serie tv anni '60 di Batman, con un umorismo più implicito e meno parodistico.
I personaggi mantengono la bidimensionalità delle controparti cartacee. Luca Marinelli è magnetico, glaciale e intenso a livelli quasi insopportabili nei primi piani. Non sfoggia la calzamaglia dal nude look scultoreo e supereroistico delle versioni più recenti del personaggio. Rimanda invece all'ombra più oscura e respingente dei primi albi della serie. Miriam Leone è la vera star del film, si cuce Eva Kant addosso assurgendo a nuova diva del cinema italiano e sfoggia una presenza scenica abbagliante. L'ispettore Ginko di Valerio Mastandrea è quello che più di tutti denota un vago sapore caricaturale, figura istituzionale che ha spesso bisogno delle intuizioni dei suoi sottoposti per mettere insieme i pezzi del puzzle e uscirne comunque puntualmente sconfitto.
L'estrema fedeltà ai canoni del fumetto può rendere il film lento, prolisso e respingente a chi cerca un prodotto più convenzionale, in particolare nelle dinamiche ludiche. Se siete appassionati del fumetto, l'inseguimento stradale a inizio film con la Jaguar di Diabolik che sfoggia tutti i suoi gadget vi delizierà. Se vi aspettate gli inseguimenti adrenalinici o catastrofisti di un Fast & Furious siete capitati nella sala sbagliata. Va detto pure che in una trasposizione così letterale alcuni elementi fanno fatica ad ingranare. Il codice morse corporeo con cui Diabolik e Eva comunicano, ad esempio, funziona benissimo in un fumetto ma si sposa male col linguaggio cinematografico, rendendo monotono il montaggio e con l'uso forzato dei sottotitoli.
L'unico elemento che metterà d'accordo tutti sull'indubbia qualità è la colonna sonora con rimandi agli anni '60 sia nella parte orchestrale di Pivio e Aldo De Scalzi che nei due brani scritti e interpretati da Manuel Agnelli che giocano sull'ambiguità di Diabolik. In particolare, La Profondità degli Abissi è un pezzo che basta ascoltare una volta e non ve lo toglierete più dalla testa.
Quale che sia la riuscita al box-office, sono già in fase di lavorazione due sequel nei quali Marinelli sarà rimpiazzato dall'italo-canadese Giacomo Gianniotti (per ragioni ancora non specificate). Nel suo omaggio così riverente al materiale originale, Diabolik ridefinisce il concetto di fan service in modo molto più onesto rispetto a tanti altri prodotti che puntano troppo facilmente alla pancia del pubblico. Motivo più che sufficiente per andarlo a scoprire al cinema.