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Colombo Supernatural: un nuovo modo per godersi una serie classica

Colombo è così radicato nella mia infanzia teledipendente da essere una delle poche serie che oggi mi viene spontaneo menzionare usando il titolo italiano al posto dell’originale. Proprio in questi giorni lo riguardo in streaming, partendo dalla prima stagione che inizia con la puntata diretta da Steven Spielberg nel 1971. Mi bastano poche scene per essere di nuovo in sintonia con i suoi meccanismi, così familiari.

Creato da Richard Levinson e William Link (gli stessi autori della Signora in giallo), Colombo è un police procedural che rimescola alcuni elementi del giallo e del noir. Il format lo conoscete: nei primi quindici minuti viene introdotto il personaggio principale, cioè l’assassino; assistiamo all’omicidio e al tentativo di depistare l’indagine. Poi arriva il tenente Colombo, che tormenta il colpevole per un’ora e alla fine lo inchioda, battendolo in astuzia. È una struttura originale per la tv dell’epoca, mentre al cinema è apparsa molto prima in film come Rope (1948) , Dial M for Murder (1954) e Les Diaboliques (1955).

Quando inizia il secondo episodio, Death Lends a Hand, osservo come le prime scene ci presentino un personaggio moralmente corrotto, l'investigatore privato Brimmer. Dopo aver ricattato una donna, Brimmer torna a casa propria, apre la porta e… Se la serie fosse La signora in giallo, vedremmo l’inquadratura di una mano guantata che impugna una pistola e gli spara. Il resto dell’episodio sarebbe il classico whodunit, quel filone del giallo in cui tutto l’intreccio ruota attorno a scoprire chi ha commesso il delitto. In Colombo invece la contaminazione col noir fa sì che questo tipo di personaggio non solo non sia la vittima, ma diventi persino protagonista dell’episodio.

Colombo, il detective, è l’avversario. Il punto di vista è distribuito equamente tra il killer e l’investigatore, mantenendo sempre un equilibrio che nel whodunit per forza di cose difficilmente può esistere. Alla fine, però, il format rimane un vero e proprio giallo. Il sottogenere è quello del puzzle, l’enigma da risolvere: come farà Colombo a dimostrare la colpevolezza dell’assassino? In tutto ciò non c’è mai l’esplorazione dell’ambivalenza tra bene e male tipica del noir.

Colombo è chiaramente identificato come forza positiva, che punisce protagonisti depravati, arroganti e privi di rispetto per la vita umana.

Ma il tenente Colombo non rappresenta soltanto l’ordine da restaurarsi, tipico del giallo classico. Uno dei punti cruciali della sua caratterizzazione è lo scarto di classe tra il detective e gli assassini.

Lui, Colombo, è un italoamericano con pochi soldi, che guida un’utilitaria e indossa un impermeabile spiegazzato. Gli indagati sono per lo più ricchi borghesi, magari intellettuali: critici d’arte, scrittori, gente dello spettacolo, tutti di grande successo. Si credono molto furbi, più di Colombo, ma in realtà non sono davvero bravi nel progettare gli omicidi – almeno nelle prime puntate.

Colombo li individua subito e sfrutta ogni occasione per sbattere loro in faccia gli errori che hanno commesso. Come scriveva Umberto Eco nel 1995, «il pubblico gode di questa lotta tra il pigmeo e il gigante dai piedi d’argilla, e va a dormire con la sensazione che qualcuno, modesto e onesto come loro, li abbia vendicati, punendo personaggi odiosamente ricchi, belli, bravi e potenti».

Questa lettura di Colombo è ovviamente quella giusta, il suo sottotesto è ben radicato nella cultura pop (curiosità: è l’oggetto di una canzone dei Baustelle). Senza voler togliere nulla al concept originale, in questi giorni ho però avvertito una vibrazione nuova uscire dallo schermo.

Se ci fate caso, Colombo sa sempre chi è l’assassino appena lo vede, senza avere ancora avviato l’indagine. Nemmeno ha idea di chi sia quel tizio che gli si avvicina per riempirlo di chiacchiere, ma la recitazione di Peter Falk evidenzia come il detective abbia l’immediata certezza di trovarsi davanti al killer. Okay, torniamo un attimo a quando ho detto che Colombo è l’avversario.

In realtà, mi sono detta, Colombo è il guardiano dell’inferno – se non Satana in persona. Gira per Los Angeles rastrellando le anime dei peccatori, che cercano disperatamente di scamparla coi loro trucchetti. Non ci riescono mai, perché Colombo è un demone potentissimo e loro sono soltanto stupidi umani.

Ecco perché il tenente sa sempre tutto. È come se gli assassini fossero marcati da un segno che solo lui può percepire, un glifo accessibile solo alla sua visione soprannaturale. Nel corso della puntata, gli indizi gli saltano in mano: quando entra in una stanza sa già che armadio aprire, in quale cassetto guardare, quale libro tirare fuori dallo scaffale.

Questo non succede in virtù di chissà quale dote intellettiva, ma perché ha dei superpoteri infernali. Il diavolo sa tutto dei suoi peccatori. Il sistema giudiziario a cui li consegna in realtà è soltanto l’anticamera dei loro tormenti, fa parte di una burocrazia esoterica necessaria a trasferirli dove devono andare. Ecco, provate a guardarlo pensando così. Vi garantisco che è una valida alternativa alla versione “Colombo scarpe grosse, cervello fino”.

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