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La prima bomba: Piazza Fontana, a fumetti

“La prima bomba”, sceneggiato da Marco Rizzo, disegnato da La Tram è un prezioso volume, edito da Feltrinelli Comics in questo 2020, che va a indagare uno dei grandi nodi irrisolti della storia italiana del secondo dopoguerra, purtroppo poco indagato a livello scolastico: la strage di Piazza Fontana.

Una delle pagine più nere della “notte della Repubblica”, la tragica ouverture degli anni di piombo. In esergo, gli autori hanno collocato una lirica tratta da Edgar Lee Masters nella traduzione di Fernanda Pivano: l’epitaffio di Carl Hamblin, perseguitato per aver protestato contro un’ingiusta impiccagione di anarchici (il capro espiatorio ideale dall’Ottocento in poi, evocato qui ovviamente non a caso). Una citazione qui appropriata, perché dalla bomba di Piazza Fontana si irradia una Spoon River, un cimitero di vittime per mano di carnefici senza volto. E come in Spoon River, le loro esistenze sono spesso collegate.

Fin dalla prima tavola notiamo la scelta azzeccata del segno de La Tram per quest’opera, evidente del resto fin dalla bella copertina. Un segno realistico ma essenziale, con colori volutamente antinaturalistici e dalle tinte acide. Molto potente anche l’accorgimento per identificare gli esecutori (e, in seguito, i mandanti) della strage, tuttora senza un volto: quello di presentarne la faccia cancellata da un violento tratteggio nero, come si usa talora per “recidere quel volto” su una fotografia. Intuiamo comunque bene, nel corso della narrazione, come si tratti di uno snodo all’interno di quel coacervo di servizi deviati, criminalità organizzata, eversione da strategia della tensione. Ma, in assenza di una verità giudiziaria, il volto resta volutamente anonimo. Come diceva Pasolini (un altro grande scrittore dalla fine perlomeno oscura) parlando di misteri simili: “So, ma non ho le prove”.

L’esordio, come spesso capita in questo tipo di opere, parte dalla terribile conclusione - l'esplosione della bomba - e procede a ritroso, dopo che un Boom cubitale, su una drammatica doppia splash nera, ha portato a compimento l’orrore. Il nastro si riavvolge, torniamo al 25 aprile di quel 1969. Qui vedremo “la prima bomba”: non ancora quella rimasta come spartiacque storico, a Piazza Fontana: ma una prima serie di attentati terroristici che l’avevano preceduta, ancora senza morti (un aspetto poco presentato della vicenda). Rizzo sceglie, per la narrazione degli eventi, un gruppo di personaggi minori, d’invenzione, che osservano a una certa distanza i protagonisti della Storia. Di nuovo, una strategia classica del romanzo storico (che possiamo far risalire fino al Manzoni...): colpisce però qui la scelta interessante di vedere il tutto tramite lo sguardo di un poliziotto onesto, perplesso dal groviglio di trame nere che lo circonda, ma dal passato fascista non rinnegato (e per questo in conflitto con la figlia e l’amante). Interessante la scelta di farne oltretutto un agente della buoncostume: a margine così delle vicende narrate, in modo che non ne sappia troppo e rappresenti così una utile mediazione col lettore, ma anche dentro alle contraddizioni di una società ancora democristianamente puritana, che si preoccupa delle minigonne e delle pubblicazioni osé (inclusi i fumetti: occhieggia una Satanik, rossa di capelli come la figlia del protagonista) mentre fuori tutto sta per esplodere.

La narrazione procede incalzante, soffermandosi anche sulle pieghe meno note della vicenda. Il commissario Calabresi, l’anarchico Pinelli, Guido Lorenzon e gli altri comprimari scorrono davanti agli occhi del lettore, figure ben note per quello più avanti negli anni (o più addentro alla questione), comparse in grado di incuriosire il lettore meno esperto o più giovane. L’intento non appare quello di esaurire la questione, cosa del resto impossibile, ma di fornire una traccia generale e gli spunti necessari per approfondirla in modo accurato. Meritorio è lo stile descrittivo, antiretorico, adottato da Rizzo ma anche da La Tram nella realizzazione dell’opera. Il giudizio morale è fatto scaturire dall’esposizione chiara ed efficace dei fatti, senza cadere nel rischio di un sovraccarico di enfasi che rischierebbe un effetto controproducente in una vicenda così delicata. Una asciuttezza stilistica notevole nei testi, ma ancor più nei disegni, che riescono a far passare il clima tragico con sobrietà. Il problema della raffigurazione visiva del male storico, tragico, nel fumetto è stato affrontato in modo sistematico, per primo, da Art Spiegelman per il suo “Maus”, risolto magistralmente con la nota scelta di usare gatti e topi stilizzati con perfezione stilistica come protagonisti.

Diviene invece qui essenziale l’espediente della cancellazione dei volti degli assassini, che oltre alla valenza documentaria (non ne sappiamo il nome) chiaramente ha anche un valore etico di condanna. Per il resto, però, consente di evitare sia di sovraccaricarne teatralmente la malvagità con un disegno caricaturale, sia di annullare la tragicità con una rappresentazione credibile della “banalità del male” teorizzata da Hannah Arendt, spesso priva di grandi effetti visivi nella realtà. I dialoghi dei responsabili della trage sono così di tipo ordinario, pur nell’atrocità che implicano, e solo il volto cancellato ce ne evidenzia la disumanità radicale. Questa soluzione permette inoltre di mantenere lo studio dell’espressività nei personaggi positivi (per quanto, come detto, non monodimensionali e colti nelle loro contraddizioni), che servono da efficace aggancio narrativo ed emotivo per il lettore.

L’uso di una colorazione antinaturalistica, invece, viene utile nello sfruttare in massimo grado il colore a fini espressivi: il nero predomina quando viene tessuto un appropriato parallelo con l’incendio del Reichstag nel 1933; il rosso nelle scene d’azione e di scontro; toni freddi nelle scene asettiche e burocratiche, colori vari e caldi in quelle di serenità domestica, o il verde in alcuni momenti di incontro esterno tra il protagonista e Pinelli. La vicenda scorre così con ritmo incalzante e precisione fino a ricongiungerci alla bomba in una nuova doppia splash nera, con cui si chiude la narrazione fumettistica in senso stretto. Alcune tavole illustrate presentano poi brevi testi che ricostruiscono ciò che segue nell’immediato alla straziante esplosione, completando efficacemente l’esposizione della vicenda.

"La prima bomba" quindi è un lavoro prezioso, particolarmente utile ad avvicinare a questa complessa, dolorossissima pagina non chiusa della nostra storia.  “Gli anni di piombo, le stragi, i sequestri: non mi interessano argomenti come questi” cantava sarcastico Caparezza nella sua affilata satira musicale sul revisionismo (e sullo scarso aggiornamento dei programmi scolastici). Questo è un ottimo punto di partenza per iniziare ad approfondire.

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