Che detto così è un titolo profondamente provocatorio.
Quando mi sono trovato a dover parlare di Venerdì 12, la difficoltà più grande che ho avuto è stata quella di introdurre Bedelia al lettore, in bilico tra lo scadere nel cliché e il non voler andare troppo per il sottile.
Evidentemente, Leo Ortolani ha avuto gli stessi problemi ma elegantemente se ne tira fuori con la frase in quarta di copertina “Amerete una stronza”.
È proprio lui a definire la sua creatura in questo modo, senza mezzi termini, con una definizione estremamente chiara, efficace e puntuale.
Togliendo a tutti le castagne dal fuoco.
Bedelia è il nuovo fumetto di Leo Ortolani per Bao Publishing che si pone l’obiettivo di riabilitare agli occhi del pubblico una dei personaggi da lui creati più facile trovare detestabile.
Qui è legittimo porsi un paio di domande: cosa sappiamo di Bedelia? Sostanzialmente niente.
Possiamo dire che quella che abbiamo visto in Venerdì 12 non è altro che l’immagine riflessa di Bedelia nei ricordi distorti di Aldo e i ricordi, si sà, tendono ad essere sempre più belli e più brutti di quanto davvero sono.
La prima cosa che sappiamo essere certamente vera di Bedelia è la sua bellezza mozzafiato.
Nel senso letterale di quelle donne che, quando entrano nel campo visivo di un uomo, gli incasinano la capacità di razionalizzare.
Leo ce la presenta così, uscendo dalla gabbia della vignetta e sfuggendo alla sua solita sintesi grafica appositamente per raccontare al lettore questo tratto caratteristico per nulla trascurabile.
Lo fa per mezzo di veri e propri “paginoni” che si appropriano della pagina bianca, mettono quasi in pausa la narrazione sequenziale per diventare puramente descrittivi, pur senza tralasciare la vena crudelmente ironica che caratterizza la sua nuova produzione artistica, relegandola alle box come una voce narrante fuoricampo.
Bedelia non è soltanto bella. È la più bella: gli uomini la desiderano e le donne vorrebbero essere lei.
La vita delle modelle raccontate da Leo segue una parabola fatta di ascesa, un vertice dall’altezza vertiginosa, finché dura, al quale segue sempre una fase discendente e fino a cadere nella dimenticanza.
È una cosa che abbiamo visto diverse volte, un topos tipico della narrazione di una certo culto dell’immagine, dei lati oscuri del divismo, conseguenza di una società consumistica che prima ti eleva e poi ti mastica per sputarti via.
Mi viene in mente Eva contro Eva, per citare una delle migliori pellicole che trattano la tematica dell’avvicendamento senza fare sconti.
All’inizio della sua storia Bedelia si trova lì: autoelettasi divinità tra gli uomini che in virtù della sua presenza e del suo status dispone delle persone a suo piacimento.
Come le divinità ha anche il dono dell’ubiquità, realizzato attraverso il moltiplicarsi della sua figura nei manifesti affissi dai quali con lo sguardo domina la città. A detta della stampa, la vetta più alta mai raggiunta da una modella.
Ma si sa, la sola cosa che la stampa ama di più che osannare qualcuno è vederlo cadere.
L’altra faccia di questa splendente immagine pubblica è una vita privata che nemmeno i suoi numerosi amanti (ma sarebbe meglio chiamarle vittime) conoscono.
La celebrità che le dà una sorta di dipendenza, i manifesti che diventano feticci attraverso i quali perpetrare la sua esistenza come unico segno tangibile del suo passaggio sulla terra, anche quelli sottoposti a scadenza.
La solitudine, perché quando sei in cima al mondo sei sola perché non puoi eleggere nessuno come tuoi pari.
Una vita fatta di mancanze affettive e incapacità relazionali.
Più forti le luci dei riflettori le sono puntate addosso più ombre profonde ci sono alle sue spalle.
Bedelia si porta dietro un vuoto che non riesce a colmare e che lei stessa ignora.
Questo fa di lei una figura tragica e irrisolta che Leo Ortolani ci racconta in un’opera di rara malinconia.
Non mi sento di definire questa esplorazione della figura della protagonista come un ribaltamento di paradigma, del resto dal punto di vista di Aldo in Venerdì 12 conoscevamo solo la parte splendente della sua vita, tra l’altro di un momento molto precedente a quello dei fatti raccontati.
Questa Bedelia è una figura tragica, destinata a restare spezzata tra l’immagine che dà all’esterno e il suo sentire interiore, che per quanto rachitico è una presenza scomoda con la quale non riesce del tutto a convivere e che la superficialità e la vacuità della sua vita fatta di celebrità, apparenza e relazioni usa e getta non riescono del tutto ad estirpare.
In questa storia scopriamo che Bedelia non è davvero crudele, non compie “Il male” per il gusto di farlo, semplicemente agisce nell’unico modo che conosce, con la noncuranza che ha acquisito con il suo status prodotto dell’infinita adorazione delle masse urlanti, che le conferiscono l’aura di impunità, di assenza di conseguenze.
Parliamo di una donna che farebbe di tutto pur di non cambiare la sua percezione del mondo perché quello è l’unico mondo nel quale lei è capace di vivere.
La nuova opera di Ortolani è anche questo: da un lato una cinica critica ad un mondo fatto solo di apparenza e dall’altro, ampliando un discorso che si insinuava anche nelle ultime pagine di Venerdì 12, una presa di coscienza dell’effettivo ruolo della protagonista nella realtà di cui per una vita intera ha stentato a far parte.
Arrivati alla fine del libro non si può che provare empatia per quella stronza di Bedelia.
Dal punto di vista tecnico, questa nuova fase artistica di Ortolani è semplicemente stupefacente, i testi godono della maturità artistica dell’autore come anche il suo tratto, con figure che ricche di dettagli e una sempre apprezzatissima apertura descrittiva al panorama urbano.
Bedelia è un’opera matura di un autore maturo, più che consapevole del mezzo che padroneggia, capace di giocare a suo piacimento con i personaggi, alternando sapientemente i toni del dramma e della commedia, spesso senza discontinuità.
Non so se alla fine del libro, come dice Leo, vi ritroverete ad amare una stronza, sicuramente amerete la sua storia.