Ci ha lasciati ieri Alberto Arbasino, uno degli indagatori più acuti della cultura italiana. Nato a Voghera nel 1930 (città che eternerà nella sua antonomasia della "casalinga di Voghera", da lui resa universale per parlare della persona italiana media), Arbasino esordisce nel 1957 con "Le piccole vacanze", che raccoglie i primi racconti usciti su varie riviste a partire dalla metà del '50. Nel 1960 è la volta de "La bella di Lodi", primo romanzo pubblicato a puntate sul "Mondo", che descrive l'Italia del boom tramite l'amore interclassista tra una rampante imprenditrice e un meccanico dell'ACI in servizio sull'Autosole. Il suo modello - a cui ha dedicato anche una vita di studi, fino a "L'ingegnere in blu" (2008 - è Carlo Emilio Gadda, il gran maestro seminale del postmoderno italiano, col suo "Pasticciaccio".
Mentre "La bella di Lodi" (1963) diviene anche un film, Arbasino aderisce poi alla neoavanguardia del Gruppo 63, che si propone una profonda riforma della letteratura italiana, superando gli stilemi ormai logorati del neorealismo. Compone in questa fase "Fratelli d'Italia" (1963, ma sottoposto a molteplici riscritture, secondo il suo stile, fino a una versione definitiva nel 1993): la vicenda d'amore tra due ragazzi, Antonio e l'Elefante, e le loro peregrinazioni per l'Italia e l'Europa, divengono un modo per raccontare le evoluzioni della società italiana successiva al boom, nell'età del postmoderno: un racconto senza più la costruzione di una trama precisa secondo i dettami della neoavanguardia.
Ancor più sperimentale Super-Eliogabalo (1969), ispirato alla vicenda del giovane imperatore romano trasposta in modo analogico al giorno d'oggi, sempre nel segno di un antiromanzo che si fa ancora più sperimentale nelle soluzioni visive, con pagine dal montaggio irregolare che ricordano (ma con fini differenti ed ironici) le scelte dei futuristi (come si può vedere da una vasta anteprima del libro, qui).
Nel 1976, con la fondazione di Repubblica, passò al nuovo quotidiano di Scalfari in pianta stabile, continuando le sue note culturali dall'affilato sarcasmo. Qui chi scrive ha avuto modo di conoscerlo e apprezzarlo, come molti della nostra generazione, per quel notevole pastiche di snobismo ed apertura alla cultura pop, guardata certo con il dovuto distacco ironico - ma lo stesso, appunto, dedicato alla più paludata cultura classica. A puro titolo d'esempio, un pezzo come "Colazione da Bradbury" (2012), dedicato alla fantascienza, dove tra brillanti divagazioni si colgono, quasi en passant, numerosi punti significativi.
Negli anni '80 sarà anche deputato per il PRI (1983-1987), per poi continuare con la sua attività di scrittore, giornalistica e saggistica, e con "Paesaggi italiani con zombi" (1998) aggiorna il suo costante studio sull'Italia contemporeanea. Ci lascia oggi, in questa Italia completamente cambiata (e sconvolta) dalla tempesta del Coronavirus, che forse avrebbe ancora bisogno della sua penna aguzza per essere raccontata.