Fare un film horror oggi è una strada difficile e spesso i mezzi per agevolarla diventano quei cliché che tutti conosciamo, la roba definita classica dagli appassionati e oggetto per i registi al fine di reinventarsi un po’ di più. Si potrebbe dire che nomi come Guillermo Del Toro non abbiano bisogno di simili mezzucci, hanno un creatività innata e anche quando si mettono a parlare di fatine dei denti escono pellicole ben più che degne di nota. Questo è lo spirito con cui mi sono avvicinato ad Antlers, l’ennesima prova nel voler far vedere che nelle foreste si nasconde qualcosa di inquietante dai tratti celtici. Le corna e le alci fanno paura nell’immaginario collettivo dei recenti horror, ma il mix con la cultura nativa americana è una prova con cui spesso ci siamo scontrati.
Se metto in mezzo al discorso la parola Wendigo vi dice qualcosa? Se sì, allora vi posso dire che già sapete dove il nuovo film di Scott Cooper vuole andare a parare e lo fa nella maniera più da manuale possibile. Non so se questo sia considerabile come spoiler dato che bene o male si intuisce dal trailer, ma vale la pena svelarvi l’identità della creatura poiché su di essa si costruisce tutto il film senza eccezione, partendo fin da subito con l’ambientazione posizionata nell’Oregon perché agli americani (e a noi occidentali) piace tanto vedere le storie del macabro all’intero di piccole comunità rustiche fatte di legno e circondate da foreste che infestano montagne più simili a mura che a paradisi naturali. Ma tant’è, tra una cioccolata calda e sceriffi ovunque, la tragedia si consuma in un centro abitato dove una serie di corpi e sparizioni diventano il caso dell’anno dato il basso tasso di criminalità di un posto dimenticato da Dio.
La prospettiva da “città” ci arriva dalla protagonista Julia (Keri Russell) che per colpa dei suoi demoni passati finisce per allontanarsi dal posto che l’ha cresciuta, salvo poi tornarci per ricongiungersi col fratello abbandonato a sé stesso, ormai diventato sceriffo (del resto non ci sono altre carriere lì in Oregon). La loro relazione, così come i trascorsi, è torbida e, devo ammettere, anche ben caratterizzata nella prima metà della pellicola, con quel classico detto e non detto che permea i tratti di Del Toro in tanti dei suoi film, dove le rivelazioni vengono servite in piccole dosi se non per sporadici punti “d’impatto” dove l’orrido prende il sopravvento.
Qui, di orrido, ce ne è davvero tanto ed è piuttosto reale, illustrando con molta forza cosa significa vivere degli abusi dentro le quattro mura della propria casa. Sebbene non ci sia poi così tanto spazio verso il passato, è giusto avvisare chi è più sensibile che potrebbe rimanere abbastanza turbato da alcune scene in particolare.
E sempre su questa scia si basa anche la storia del giovane Lucas Weaver (Jeremy Thomas), un ragazzino schivo e turbato come spesso accade in posti così chiusi e poco inclini alla pedagogia avanzata, ma che in realtà nasconde un male ben peggiore di quello che si potrebbe pensare, un'intuizione che Julia nota subito seppur dando la colpa di quei comportamenti anormali a motivazioni più logiche che mistiche. Le anime travagliate sono naturalmente tendenti alla comprensione e alla condivisione, così i due “legano” abbastanza da far prendere coraggio a Julia e smuovere le acque della sua scuola per vederci chiaro sul padre assente e il fratellino più piccolo che ha smesso di venire a scuola.
Fino a quando il film ha questa aria di mistero, di indagine se così vogliamo chiamarla, mi stava colpendo in positivo e si vedeva l’attenzione di Del Toro verso quella che è la dimensione infantile, il modo in cui anche delle innocenti favole possono distorcersi in aberrazioni fuori dalla comprensione degli adulti. Le Fatine dei Denti di Non avere paura del buio, ad esempio, sono proprio l’elemento lampante su quanto questo filone particolare sia importante, proprio perché bene o male l’innocenza di un bambino è il perfetto contrasto con un orrore che di per sé non è malvagio (e da qui il fatto che sia una favola) ma che può diventarlo sotto specifiche condizioni.
Senza fare troppi spoiler, in Antlers rimane tale concetto nel modo in cui il Wendigo non è una singola entità, come molti sanno, bensì uno spirito vagante che può assumere il controllo di diversi ospiti, mutandoli e condannandoli per aver usurpato la natura. E fin da subito Antlers vi fa capire che è colpa dei minatori cattivi che scavano nelle montagne, chi lo avrebbe mai detto?
Insomma, quando il film rimane nelle mura domestiche è un piacevole rollercoaster di emozioni ben tarate, con le giuste pause di riflessione, il giusto accompagnamento musicale e una fotografia che regala scorci fantastici dell’Oregon, motivo principale per cui ancora questa ambientazione boschiva ci attira come non mai. Sono rimasto addirittura sorpreso in un momento in cui Julia sta per arrivare nella casa diroccata di Lucas e si ritrova nella situazione in cui non sente dei rumori sinistri e inizia a chiedere se ci sia nessuno in casa. Di solito gli stupidi e i folli entrano senza farsi troppi problemi, invece Julia ben decide di correre via da lì e avvertire le autorità competenti, scelta a cui avrei applaudito se non avessi rischiato di passare per l’invasato della sala.
Quei guizzi di originalità però finiscono nel momento in cui la creatura prende piede al massimo, devastando e uccidendo senza sosta con la polizia che si chiede “Ma che animale ha potuto fare questo? Un orso?!”, come se non conoscessero le caratteristiche della fauna con cui convivono da decenni o secoli. E già da queste domande del corpo delle forze di difesa vi renderete conto che Antlers cade lentamente in tutte quelle caratteristiche che compongono un film sui Wendigo, che possiamo riassumere in pochi passaggi.
Inizialmente spuntano i corpi maciullati e nessuno si spiega come mai se non tramite la scusa degli animali feroci, fino a quando un personaggio nativo americano non nota i segni e inizia a dire frasi misteriose con occhiatacce riprese in primo piano giusto per far capire che lui conosce tutto. Continuano a spuntare i corpi con i protagonisti che uniscono qualche punto, si rivolgono al personaggio nativo americano che spiega il mito della creatura con annessa manfrina sulla preservazione della natura, gli spiriti arrabbiati e via discorrendo.
Il protagonista più scettico (in questo caso lo sceriffo fratello di Julia) se ne esce con una frase sul tono di “Questi sono solo miti, ci sarà sicuramente una spiegazione logica”, ma – spoiler – non c’è. Crescendo di omicidi, coinvolgimento diretto degli spazi degli attori principali, morte diffusa, scontro con la creatura che puta caso ha un punto debole ben in evidenza come un boss dei videogiochi e poi via verso il finale cliffhanger perché le maledizioni non muoiono mai.
Quindi ecco, lo spreco totale della creatività di un design del mostro eccezionale con tutta una serie di scene gore dal sapore originale e affossate da omicidi quasi usciti da Paperissima Sprint. Se non avete mai visto un film sui Wendigo allora lo apprezzerete perché non vi aspetterete proprio nulla (anche se ormai avete tutti gli elementi, scusatemi) ma se invece siete veterani delle pellicole con questa creatura non troverete nulla di nuovo se non nella costruzione e caratterizzazione dei personaggi, l’unico elemento forte del film su cui non ho veramente nulla da recriminare. Se invece volete una storia più originale e meno scontata, il consiglio è di giocarvi Until Dawn che sicuramente fa un lavoro migliore col Wendigo di Antlers, sebbene non lo superi in termini di estetica dell’orrore.