

True Detective: Night Country, quando La Cosa incontra Frozen e nasce una meraviglia
True Detective: Night Country ci riporta ai fasti di una serie inquietante, profonda e iconica. Sarà la vostra nuova ossessione.
Ci siamo, True Detective è tornata, ma sul serio. È proprio lei, lo giuro. Ci sono voluti “soltanto” dieci anni, ma alla fine True Detective: Night Country, in arrivo su Sky e NOW dal 15 gennaio, è riuscita a resuscitare una serie dal nome tanto leggendario quanto irrimediabilmente scalfito dal tempo. Dopo due stagioni piuttosto blande e francamente dimenticabili, nelle quali si è cercato in ogni modo di replicare un miracolo che è rimasto inarrivabile in fascino e iconicità per un decennio, il creatore Nic Pizzolatto ha capito che l’unico vero rimedio era cambiare tutto, lui compreso. Si è tenuto un posto da produttore esecutivo e ha lasciato le chiavi della baracca a Issa López, che qui è showrunner, sceneggiatrice e regista, una demiurga capace di decostruire il mito della prima stagione creandone un riflesso speculare dalle premesse simili, ma che poi fa esplodere in un prisma di ghiaccio dalla profondità tutta nuova.
Potrà sembrare superfluo tornare in continuazione a fare paragoni con la prima stagione, con un prodotto di dieci anni fa, eppure il True Detective delle origini ha lasciato un segno talmente visibile nell’immaginario collettivo che una serie successiva con lo stesso nome non può che farci i conti su base pressoché giornaliera. Vale la pena tornarci anche perché è un buon esercizio, uno che ci invita a mettere in discussione gli idoli del passato (quelli che molti definirebbero intoccabili) costringendoli a vedersela con ciò che arriva dopo, e che forse forse potrebbe insidiarne il primato. Questa ampia digressione mi è servita per addolcire il colpo che sto per sferrare: a me personalmente, True Detective: Night Country è piaciuta più della prima stagione, e vorrei dirvi perché (prima di essere sepolta sotto una pila di sassi, ortaggi marci e malocchio).
Ghiaccio batte afa
L’ambientazione geografica non è un dettaglio da niente. I paesaggi che tanto ci incantarono e inquietarono della Lousiana nel 2014 avevano delle vibes automaticamente perverse, soffocanti, limacciose come le paludi che la costellavano. Scegliere la California e le Ozarks per le stagioni successive non ha aiutato in quanto a fattore shock, ma l’Alaska? Qui iniziamo a ragionare. La cittadina fittizia di Ennis è incastonata tra i ghiacci, circondata da un oceano solido in superficie, ma sempre pronto a inghiottire di tutto trascinandolo nei neri abissi della fine del mondo. E inoltre, la storia di Night Country inizia nell’ultimo giorno di luce dell’anno, prima di una lunghissima notte fatta di ombre nel bianco a perdita d’occhio, di vento gelido che trasporta sussurri e riflessi sulla neve che sembrano fantasmi erranti.
Poliziotta cattiva e poliziotta cattiva
Rust Cohle e Marty Hart funzionavano come la più classica coppia di opposti, il poliziotto buono e quello cattivo, il fiducioso e il cinico. Issa López vuole invece le sue due protagoniste talmente simili da respingersi per autodifesa, come due batterie con la stessa polarità. Liz Danvers (un’impeccabile Jodie Foster) ed Evangeline Navarro (la sorpresa Kali Reis) hanno metodi simili, obiettivi analoghi e la stessa strafottenza ruvida. Sono talmente aggressive (quanto competenti) che nessuno le vuole più come partner, e loro stesse rifiutano di lavorare insieme, se non fosse che un gruppo di cadaveri trovati da Danvers nel ghiaccio si collega con il caso irrisolto di una donna uccisa che ossessiona Navarro. Il duo impossibile si ricompone, ma le strade da seguire per loro sono parecchio diverse. Le protagoniste di True Detective: Night Country incarnano le due anime dello show, una in stile La Cosa tutta azione, problemi da risolvere e pragmatismo (sebbene con una robusta dose si casini) e una alla Frozen che è storia di formazione, connessione con le proprie radici e scoperta del proprio autentico potere, anche quando è talmente intenso da fare paura. Pensavate che avessi lanciato Frozen a caso per fare clickbait, dite la verità.
Toh, una donna viva!
Se c’è una critica da poter innegabilmente fare alla prima stagione di True Detective è la sua quasi totale assenza di rappresentazione femminile, riassumibile pressoché in ogni caso con la definizione di “la moglie di” o “la vittima di”. La serie iniziò con una discreta carica testosteronica, declinata nel trope dell’antieroe tormentato, ma non meno maschile a senso unico, lasciando il pubblico femminile (ci siamo, prometto) con un vuoto di contenuto colmato solo da Night Country. E non parlo soltanto del numero di donne in scena, che è comunque sostanzioso e soddisfacente, ma di un approccio alla storia (anche produttivo) che è capace di arricchire la narrazione sulla donna ammazzata creandole intorno un universo. Attenzione, un universo, non un mondo, perché probabilmente il più grande merito della quarta stagione di True Detective è stato quello di averci restituito l’ignoto. In linea con la presenza massiccia di donne e di persone native americane, lo show sa come integrare nel mistero un bagaglio incredibile di sapienza ancestrale, di conoscenze arcaiche e suggestioni cosmiche, comunemente etichettate come superstizioni, roba da femmine o residui di inciviltà pre-cristiana e pre-industriale.
C’è un cuore pulsante al centro di True Detective: Night Country ed è un cuore oscuro, quasi ibernato ma ancora forte come il permafrost che tenta di resistere all’avanzata delle attività umane. Per sopravvivere ha bisogno di tante persone, non di un unico (anti)eroe solitario, ma di una comunità che si scalda al fuoco dei propri valori comuni, della promessa di non lasciare nessuno indietro e del rispetto timoroso verso ciò che si annida sopito nella notte, alla fine del mondo.