STAI LEGGENDO : Trascendenza della fine, Star Wars e l'ascesa della morte

Trascendenza della fine, Star Wars e l'ascesa della morte

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Star Wars insegna che non importa come si nasce, perché non sono i nostri genitori a costruire le nostre vite, ma ci ricorda che conta come decidiamo di concludere il nostro viaggio.

Attenzione: questo articolo contiene spoiler su Episodio 9: L'ascesa di Skywalker.

 

A volte, con sottile ironia, un film esce nelle sale proprio quando ne hai bisogno. Ti siedi e ti lasci avvolgere dal nero abbraccio della penombra durante la proiezione e ti fai confortare da quel sedile in pelle che il cinema ti assegna casualmente. L'arte, in tutte le sue declinazioni, è anche questo. Una consolazione nei momenti più bui.

Avete presente l'arte contemporanea? Tutti non ci vedono niente in una banana appesa al muro con il nastro adesivo, in una tela squarciata o in un gabinetto esposto in un museo.  Ma l'arte non rappresenta mai quello che l'autore vuole davvero, l'opera è una traduzione della percezione di colui che ammira e osserva. Un film, una canzone, un bacio o un libro assumeranno mille significati diversi a seconda di chi è immerso in quella sperimentazione; e non importa cosa vedono gli altri, siamo noi con i nostri bagagli immaginari e la collezione di emozioni a discernere il significato di un'opera, e possiamo anche azzardare di allontanarci nella direzione opposta del suo creatore.

E che importa finché stiamo bene così? É proprio quello che ha fatto l'ultimo Star Wars, L'ascesa di Skywalker. Oltre i difetti mi ha dato qualcosa, qualcosa che forse soltanto io potevo vedere ma che appartiene a ognuno di noi. Con calma ci arrivo.

Ha diviso in pubblico in fan e detrattori, molti ci vedono il finale smunto di un'epopea che doveva esaurirsi con Il ritorno dello Jedi (1983), altri (me compreso) il tentativo di creare una nuova mitologia spaziale svincolata da quell'atmosfera classica e pulp dei primi Star Wars (che per quanto classici non risultano inattaccabili e soffrono dei tanti stereotipi da film di azione e dialoghi a volte banali). Una cosa è certa, non saremo mai d'accordo.

Ma questa cesura nasce soprattutto perché L'ascesa di Skywalker non è un film perfetto, e non aveva nemmeno la pretesa di esserlo. Un film che eredita diverse difficoltà e deve sobbarcarsi l'impresa di salvare una trilogia oltre che l'universo.

E ci riesce. Ci sono montaggi confusi e raffazzonati, citazionismi tolkieniani o richiami a Harry Potter, una comicità soffusa e affidata ai personaggi secondari ma che risultano essenziali per arginare una trama a volte fuori controllo, colpi di scena che fanno capolino da buchi di trama e mille altre sbavature. Ma non importa. Perché questo è un film di emozioni. Lo sa bene J.J. Abrams che non interviene sul paziente cercando di cambiarlo in una creatura grottesca a servizio dei critici, ma sutura e disinfetta le ferite.

Star Wars è una storia di cicatrici cangianti come lightsaber. Ma come canta Leonard Cohen in Anthem  “è dalle ferite che entra la luce” . E allora, guardando l'ultimo film ignoriamo i difetti, le imperfezioni, le scene che spezzano il ritmo e ci abbandoniamo al sentimento, al cuore. Il primo motore della vita. Dai difetti e dalle ferite degli altri film si sprigiona la luce.

Come la ceramica raku giapponese, un tipo di arte nipponica che consiste nell'unire i cocci con delle suture di metalli preziosi come l'oro. Il risultato è un vaso scheggiato dalle screziature dorate, Star Wars è un’arte che riconosce i suoi punti deboli e li trasforma in lirismo delle emozioni. E piove argento nel cosmo, dalle piaghe di queste imperfezioni.

Io ho visto oltre. Magari a mente fredda ci sono così tante questioni irrisolte che il nervoso prende il sopravvento, ma poi penso a Kylo Ren che si trasforma in eroe stoico e determinato, un paladino del male e un diavolo del cielo. Penso a Rey che è nata spezzata e raccoglie i cocci del suo passato un pezzo alla volta per poi scoprire che il sangue non plasma il destino di nessuno. Penso alla principessa Leila che abbandona la realtà con il suo ultimo sbuffo di vita insieme a suo figlio, una Leila che è già morta ancora prima di morire perché agisce grazie a un ricordo di Carrie Fisher. Star Wars smette di essere fantasy o fantascienza, evolve o forse torna a uno stadio primordiale. Diventa mito, logos, leggenda primigenia, arazzo archetipico della storia umana.

Per questo è un grande film perché è capace di focalizzare l'attenzione su cose troppo importanti. La morte e la vita.
E badate bene, morte e vita non sono nemiche, la morte non è il male e la vita non è il bene.

Star Wars è sempre stato un racconto dell'equilibrio, uno spirito teosofico che si affida ad entrambe le nature del cosmo. L'infinito e il nulla. Immanenza e trascendenza, la capacità di essere oltre la fine e la lotta della realtà di continuare a vivere oltre le sfere dell'irrazionale. Tutto questo va oltre la Forza, ai midi-clhorian che sono pallidi percettori sensibili alla forza, e ai fulmini dei Sith.

La morte è un terreno in cui sembrano a proprio agio i Sith invece la rifuggono in ogni modo, con patti faustiani e bestiali. Palpatine è una creatura ghignante che sbuca da nessun algoritmo naturale e incarna alla perfezione un aforisma goethiano “Quelli che non sperano in un'altra vita, sono morti anche in questa”. Certo l'autore tedesco intendeva moralizzare in chiave cristiana, ma quanto risulta vera la paura dei Sith ? Cercano di avere l'immortalità a prezzi disumani e si trasformano in cadaveri ambulanti dagli sguardi vacui.

Tutt'altra cosa sono i Jedi, pionieri di uno codice cavalleresco, da crociati, che affrontano la vita e la morte con la stessa filosofia guerriera e zen. Loro agognano la fine, non con spirito suicida e fanatico, ma come atto ultimo per ricongiungersi alla forza, alla matrice del cosmo. Basta soffermarsi alle conclusioni della trilogia “His Dark Materials” di Philip Pullman, ovvero che il destino dell'uomo è legato fin dall'inizio alla polvere. La polvere che è soltanto la manifestazione metafisica di un'anima che si è unita al tutto, alla ragnatela cosmica e discende sulla Terra per continuare la vita e tenere uniti gli infiniti mondi.

E così è la Forza, non la pulsante scarica elettrica che folgora i nemici o la capacità di scaraventare oggetti, la forza è la volontà dell'universo, è l'infinito incanalato in dose infinitesimali nelle mani di un uomo o di una donna. L'ente indivisibile si proietta in un corpo mortale, e si sente a casa. Possiamo dare alla forza mille traduzioni “terrestri”, anima cattolica, dharma indiano, particella demiurgica greca, legge di una scienza mai scoperta o alchimia stellare. La verità è che vita e morte sono strettamente legate per creare la forza, linfa delle stelle e di coloro che abitano la galassia.

Le stelle nella religiosità indiana d'America sono i corpi celesti che abbracciano i defunti, i cari sono fatti di stelle. Anche in Star Wars c'è questa assimilazione, che la fine del corpo non è mai la fine dello spirito. E se volete apporre una lettura cattolica di Star Wars siete anche liberi di farlo, ma nessuno ha una risposta a queste domande.

Obi Wan è lì ad incoraggiare Luke Skywalker, non come fantasma della coscienza o spirito ultraterreno, ma come entità stellare. Emanazione umana di una potenza esplosiva che corre nell'infinito. Lo spirito è al servizio della legge dell'espansione dell'universo, le anime dei defunti si aggregano tra loro per alimentate il cosmo.  In Star Wars così gli eroi rimangono eroi, anche oltre al decadimento fisico, perché la forza preserva l'idea dei Jedi.

È nella ragnatela cosmica che si alimenta il ricordo, si condensa il desiderio di una galassia migliore, è lo stesso arazzo universale a disporre i fili della sua auto-tessitura. Le stelle chiamano Yoda, Luke Skywalker, Han solo, Leila o la suicide squad di Rogue One. Tutti sono uniti dalla forza, spirito impossibile da analizzare ma che controlla la vita quanto la morte. Non ha crismi, regole, teorie, algoritmi, filosofie che tengano. La Forza è silenziosa quanto capace di comunicare ad ognuno di noi, in vita e in morte. L'addio si trasforma in arrivederci, coloro che si amano trovano modi che vanno oltre la ragione per continuare a proteggersi.

E chissà quante volte lo spirito di Anakin Skywalker, nonostante la corruzione in Darth Vader e poi l'ultima redenzione, ha protetto i figli del suo grande amore. Non l'abbiamo visto, ma c'è. La verità è che anche il suo spirito viene protetto da coloro che sono in vita. Odio e amore perdono significato, c'è qualcosa tra le stelle che ci mette sullo stesso livello. È la fine di tutte le cose, ma oltre le cose c'è l'idea. Oltre l'idea c'è la volontà. E oltre alla volontà c'è l'infinito.

Star Wars insegna che non importa come si nasce, perché non sono i nostri genitori a costruire le nostre vite, ma ci ricorda che conta come decidiamo di concludere il nostro viaggio. Il film potrà non piacervi, ma c’è uno tsunami ontologico verso il destino e travolge anche l'osservazione più cinica.

Almeno per me. Forse lo stavo guardando con una consapevolezza troppo affilata dagli eventi recenti, ma ora ditemi, come non può essere il miglior personaggio della saga il caro Kylo Ren? Che senza grandi dialoghi ma soltanto con le azioni riesce a magnetizzare il nostro amore. E se pensavamo che Rey fosse l'eroina e la prescelta di una profezia “skywalker-centrica” ora dobbiamo dubitare, perché c'è  la vera ascesa di Kylo Ren, non metaforica ma letterale.

Colui che svanisce nell’ultimo uso della Forza e si ricongiunge al cosmo. Lui che è sempre stato lo spezzato tra gli spezzati, lui che aveva la famiglia ma ha deciso di recidere i legami per poi pentirsene, lui che ha sempre porto la mano alla sua falsa nemesi, lui che è sempre stato una scheggia della forza.

L'ascesa di Kylo Ren si concretizza in un bacio e nella sua morte. E in quel momento ho dimenticato tutti i colpi di blaster, le evoluzioni con le spade laser, le manovre di accerchiamento aereo e il coraggio dei ribelli. Ho soltanto pensato a tutti coloro che non ci sono più, che sono ascesi per essere qualcos'altro. Dei ricordi, ma i ricordi sono tutto, perché sono nostri.

«Sei soltanto un ricordo» Dice Kylo Ren incredulo

«Il tuo ricordo» sospira Han Solo commosso per suo figlio.

E se non avete pianto, siete degli Stormtrooper. (pace all'anima loro)

Questo articolo fa parte della Core Story dedicata a Star Wars e alla fine della saga degli Skywalker.

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