

Top Gun: Maverick. Pete Mitchell è tornato, davvero
Operazione nostalgia riuscita. Con tutti i limiti che il carico emotivo del primo film ha imposto a un sequel tecnicamente ineccepibile.
Si comincia con la stessa musica, la stessa fotografia di 36 anni fa: siamo a bordo di una portaerei, ci sono jet sul ponte di decollo. Certo c'è una differenza: una volta Tony Scott usava le gelatine arancioni per cambiare il colore della luce e dargli un tocco più esotico, oggi si fa tutto con la color correction. Se volete, la recensione di Top Gun: Maverick si può racchiudere tutta in questa considerazione. La storia, le emozioni, i personaggi del film uscito nel 1986 rivivono in questa pellicola che sarebbe dovuta uscire nel 2020 e che finalmente vedrà la sala nel 2022: tutto però viene aggiornato alla tecnologia, allo stile, alla cinematografia di oggi. Se avete amato il primo Top Gun, amerete anche questo: un sequel che fa fino in fondo il suo lavoro, senza rischiare troppo.

Ritorno a Miramar
La struttura di Maverick è la stessa di Top Gun: Pete Mitchell, il personaggio interpretato da Tom Cruise, è rimasto lo stesso di 30 anni fa.
Una testa calda, un asso in grado di pilotare qualsiasi cosa fino all'estremo, che però ha fatto davvero poca carriera in Marina a causa proprio dei suoi difetti: per 30 anni Iceman, il suo vecchio compagno di squadriglia Tom Kazansky nel frattempo diventato ammiraglio, lo ha protetto dal congedo con disonore una bravata dopo l'altra. Ma non sappiamo se saprà farlo o potrà farlo anche questa volta, quando Maverick viene richiamato nella stessa base dove aveva ottenuto il suo brevetto Top Gun per addestrare una nuova leva di piloti.
Se nel primo Top Gun i crucci di Maverick erano legati a un rapporto complicato con il padre scomparso in circostanze mai chiarite, questa volta la situazione si ribalta: ora Mitchell ha l'età per guardarsi indietro, ha più strada alle spalle di quanta ne abbia davanti a sé, guarda e ripensa alle scelte fatte forse con un pizzico di rimpianto. C'è ovviamente la tragedia di Goose, il suo compagno morto nel primo film, che condiziona da 30 anni la sua vita: Nick Bradshaw, così si chiamava, ha lasciato una moglie e un figlio ed è proprio con quest'ultimo che Maverick misura la sua capacità di essere una figura paterna o comunque un punto di riferimento.

I sentimenti, la voglia di provare affetto per il prossimo, l'indisponibilità emotiva dei personaggi sono ancora oggi ciò che mette in moto la storia: sullo sfondo ovviamente ci sono gli aerei, persino gli ormai vetusti F-14 del primo film fanno una comparsata, e le evoluzioni quasi impossibili che i top gun gli fanno compiere sfidando i manuali di volo e le leggi della fisica. La formula, la ricetta, sono le stesse del 1986: verrebbe quasi da definire questo film un pastiche, ma è indubbio che invece il regista Joseph Kosinski, tutto il cast e gli sceneggiatori abbiano provato a metterci la faccia in questa coraggiosa operazione.
Gli anni '80 sono finiti
Raccogliere l'eredità di un film cult dopo 30 anni, d'altronde, era tutto tranne che una sfida facile: nel frattempo il cinema è cambiato, nella tecnica e nell'estetica, ma soprattutto è cambiata la società e i valori che esprime.
Oggi il Maverick del 1986 non sarebbe più credibile sul grande schermo, la sua rappresentazione come maschio sigma con tendenze autodistruttive non è più accettabile per Hollywood e per il mondo occidentale: dunque bisognava trovare il modo di farlo evolvere, di mostrare le sue debolezze (anzi, di costruirne di nuove) e di metterlo in situazioni che fossero almeno un po' più verosimili che in passato.

Le armi scelte per riuscire in questa impresa sono essenzialmente due: un po' di ironia e un po' di coraggio, con alcune scelte nella trama che fanno rischiare più volte alla storia di precipitare (no pun intended). Il risultato è un film che per come è scritto avrebbe potuto persino essere girato negli anni '80, ma che sfrutta fino in fondo tutto quanto nel frattempo si è aggiornato: telecamere, sonoro, effetti speciali, una nuova moto per Maverick e un nuovo repertorio di battute per rendere meno macho l'intero corpo della Marina degli Stati Uniti. E ovviamente anche Tom Cruise: che è meno giovane e meno bello e dannato, che diventa più umano pur restando protagonista indiscusso.

Spendiamo qualche altra parola sul comparto tecnico: wow. Forse è eccessivo arrivare a dire, come ha fatto il produttore Jerry Bruckheimer, che non sarà mai più girato un film sull'aviazione come Top Gun: Maverick. Però è indubbio che sia stato fatto un salto in avanti pazzesco nella costruzione delle sequenze acrobatiche, che soprattutto la possibilità che abbiamo oggi di piazzare obiettivi dovunque nell'abitacolo ha reso pienamente giustizia a quella che forse era la visione di Tony Scott anche nell'originale. Se manca qualcosa a questo film, sotto il profilo tecnico, è proprio ancora qualche altra scena in volo: l'appetito vien mangiando, e ci sono davvero delle belle sequenze da godersi. Non vogliamo la trama, vogliamo Maverick in picchiata!
Iceman: perché?
Un paio di cose soltanto mi hanno fatto storcere il naso in sala. La prima è senza dubbio la decisione di includere, un po' forzatamente a mio parere, il personaggio di Iceman in questo film: Val Kilmer ne ha viste di cotte e di crude in questi anni, in qualche modo interpreta sé stesso nei pochi minuti che gli vengono dedicati, ma la sua presenza è davvero ininfluente. I suoi contributi significativi alla storia avvengono quando lui è fuori dall'inquadratura, e l'unico risultato di aver messo assieme sullo schermo lui e Tom Cruise è soltanto quello di aver reso evidente quanto il tempo sia stato clemente con quest'ultimo e inclemente con il primo. Val Kilmer non se lo meritava.

L'altra scelta a mio avviso controversa, ma qui iniziamo a discutere le scelte di regista e sceneggiatori e dunque andiamo su un terreno scivoloso, è l'eccessiva tendenza a voler ricalcare la struttura e lo schema del primo. D'altra parte è proprio questo a far funzionare l'orchestrazione di Top Gun: Maverick, ci sono gli stessi punti di riferimento nei personaggi e nella trama che ci fanno sentire confortevolmente avvolti da una storia che sappiamo come potrà andare a finire. L'unico modo per cavarsi di impaccio e dare un finale dignitoso all'intreccio è però dunque quello di esagerare: diciamo che a caldo certe situazioni erano decisamente convincenti, l'adrenalina scorre veloce grazie anche a un montaggio che non lascia dubbi. A freddo, ti viene di pensare che beh, forse, insomma…
Difficilmente, comunque, leggerete in giro critiche feroci per questo film: alla fine è esattamente ciò che chi, come me, è stato un fan della prima pellicola si aspetterebbe da un sequel. Ed è un film che ci si può godere pienamente grazie alla già citata tecnologia al servizio dell'immaginazione, a prove attoriali convincenti, a una sceneggiatura che si concede di credere fino in fondo nei buoni sentimenti.
C'è tutto, se aveste in mano una cartella del Top Gun Bingo spuntereste tutte le caselle: personalmente sono uscito dalla sala contento, felice che il sequel abbia retto il confronto con il precedente, e non vedo l'ora di regalarmi un pomeriggio-maratona infilando in sequenza l'originale e il suo degno erede.
