

The Omega Man - Variazione sul tema
L'Omega Man è l'ultimo uomo del passato che cerca di sopravvivere in mondo di mostri, un'immagine di cinquanta anni fa che torna prepotentemente attuale.
In tempi non sospetti, quando pensavamo a cose come prossimo futuro e pandemia, ridevamo pensando agli zombie. All'apocalisse zombie.
Per la mia generazione era la cosa che conoscessimo più simile ad un'emergenza sanitaria globale.
Poi ci siamo svegliati una mattina e la situazione era più tragica e meno eccitante del previsto.
Che poi, cosa hanno a che fare gli zombie con le malattie infettive?
Ci troviamo di fronte all'ennesima deformazione dell'immaginario collettivo causata dalle stratificazioni mediatiche, dal moltiplicarsi delle fonti, dal mischiare paure antiche con terrori moderni.
Questo accade specialmente quando si parla di un contenitore che aspetta solo di essere riempito di significati come l'horror, gli zombie.
Non c'è narrativa orrorifica che non sia una parabola o mostro che non sia una metafora, un feticcio delle paure di una generazione.
Diamo un po' la colpa a Resident Evil (in origine Biohazard, non a caso), a 28 Giorni Dopo, ma lì gli infetti sono rabbiosi e quindi teoricamente non sono zombie né nell'accezione classica del termine né in quella moderna. Poi c'è una grande varietà di creature che proliferano infettando l'umanità, tipo i vampiri.
Tutto quello che si poteva dire sull'incrocio tematico "vampiri" e "malattia" è stato sviscerato dalla Trilogia Nocturna, romanzi diventati successivamente serie televisiva (The Strain) scritta da Guillelmo del Toro (regista anche del pilot) e Chuck Hogan.
Tra le più grandi references sfruttate per l'ideazione della serie ci sono lo Stephen King di Salem's Lot, l'approccio scientifico razionale di Michael Crichton e inevitabilmente Richard Matheson.
Chi è costui?
Richard Matheson è uno dei più influenti scrittori horror della narrativa americana, uno di quelli che gli altri autori di horror leggono e al quale si ispirano. Ha scritto tantissimo per il cinema, per la televisione e tra i suoi tanti lavori spicca Io Sono Leggenda.
La storia è quella del solito mondo andato avanti. Un batterio ha tramutato la popolazione mondiale in vampiri: bestiali, aggressivi, non forbiti, eleganti o esistenzialisti come andranno di moda negli anni '90. Solo il protagonista Robert Neville è l'unico esponente della razza umana sano che cerca di sopravvivere di giorno uccidendo più infetti che trova e di notte barricandosi nella sua villetta respingendo gli attacchi dei vampiri. Ovviamente la situazione andrà incontro a complicazioni che metteranno in discussione il suo ruolo della Terra.
Il colpo di genio di Matherson sta tutto nel ribaltamento.
In un mondo di mostri l'unico essere umano sano che si aggira di giorno per uccidere è il vero mostro, il predatore, l'uomo nero che viene perseguitato dalla nuova società per riportare la pace nel mondo.
Il romanzo è stato portato a schermo tre volte:
1964: L'ultimo uomo della Terra con Vincent Price;
1971: The Omega Man con Charlton Heston;
2007: Io sono leggenda con Will Smith.
Tra tutti, il mio preferito resta senza dubbio The Omega Man, arrivato in Italia in un momento storico particolare per il cinema di fantascienza. L'onda lunga del successo di 2001 Odissea nello Spazio ha dato origine ad un particolare filone di titolazioni originali italiane che incorporano nel titolo l'anno nel quale si svolgono i fatti e così diventa noto come 1975 - Occhi Bianchi sul Pianeta Terra.
Sul piano del Ribaltamento operato da Metheson nel suo romanzo, 1975 fa un passo in più, modificando la sequenza degli eventi. Il film si apre già con la lotta tra Neville e gli "infetti al terzo stadio". Ci sono i morti, gli infetti che non presentano ancora sintomi e gli infetti senzienti al terzo stadio, bypassando completamente la fase "bestiale" del decorso della malattia.
Gli infetti ci vengono inoltre presentati già come organizzati in società, raccolti attorno alla figura di Mathias, carismatico leader di questa setta. Tra di loro la chiamano "famiglia"in una chiara allusione alla famiglia Manson.
Unico dictat da seguire ciecamente per far parte della Nuova Società è la rinuncia a tutto ciò che è meccanico, elettronico, tecnologicamente avanzato. È il rifiuto delle vestigia di un passato che ha scatenato la piaga che ha decimato la popolazione mondiale e che quindi bisogna abbandonare per poter proseguire, per rinascere.
Oltre ovviamente ad avere il Marchio, il segno di essere prescelti tra tutti i morti per sopravvivere e portare avanti la società: gli occhi bianchi del titolo. Gli infetti sono albini perché il virus ha agito sulla pigmentazione di pelle, capelli e occhi causando una fotosensibilità estrema.

La famiglia.
Non sono zombie, non sono vampiri ma hanno rinunciato alla luce del giorno e al mondo esterno per un'esistenza notturna e sotterranea.
Il ribaltamento e lo scontro assumono così caratteri progressivamente più inquietanti.
Neville è l'Uomo del Passato, arroccato nella sua fortezza con le sue trappole e stregonesche diavolerie tecnologiche come Dracula nel suo castello in Transilvania, con la Cura alla malattia a rimpiazzare gli oscuri riti e sacrifici per prolungare innaturalmente la sua vita, ad un certo punto passa per un moderno rituale del sangue molto simile a quello con il quale i vampiri generano proseliti.
Mathias gli si oppone come uno pseudo Van Helsing che invece del lume della ragione e dell'intelletto è armato del fanatismo dei suoi settari e nella cieca fede nella giustezza del culto che ha fondato.
Con la sua gente che dà l'assedio alla casa di Neville con torce e forconi come in un finale di un classico horror della Universal.
Il film è invecchiato eccezionalmente bene. Vuoi un po' per il ritmo dell'azione, per un Charlton Heston gigantesco nel ruolo del sopravvissuto, per le azioni di sabotaggio degli infetti che si nascondono nell'oscurità per saltare addosso al protagonista, ma soprattutto per l'intelligente adattamento della tematica del ribaltamento sul quale si sofferma Matheson nella sua opera.
Rivisto in questi giorni diventa maggiormente inquietante per la paura che rappresentano gli spazi svuotati della metropoli, della routine recisa, nello spettatore reso inaspettatamente sensibile al tema della pandemia. Parole e immagini che solo un anno fa avremmo visto come vestigia di un passato da Guerra Fredda lontano tornano brutalmente attuali a stimolare l'immaginazione.
Come se la distanza tra noi e questa vicenda assurda e catastrofica smettesse di essere misurata in anni, ma solo in possibilità e impossibilità.
È una questione di confronto con la paura, ma non con la paura dell'eventualità della malattia, ma con la paura della società e del mondo che questa malattia ci lascerà in eredità.