

Neill Blomkamp – Tra bisogno di libertà creativa e rapporti con le major
Un percorso tra quello che è stato, quello che sarebbe stato e quello che sarà dei film di Blomkamp. Cos’è successo ai film su Halo su Alien?
Neill Blomkamp, classe 1979, una carriera nata tra le fila dell’esercito degli animatori 3D, diventa improvvisamente noto al grande pubblico per aver diretto District 9, un film fantascientifico in cui gli alieni vengono relegati in squallidi slum costruiti appositamente per loro. Il film si fa notare non solo per il metaforone antirazzista ma per degli effetti speciali spettacolari che si ispirano a una certa estetica videoludica (chi ha detto Half Life?)
Quali sono i temi che caratterizzano le sue opere? Quali sono i progetti su cui sta lavorando con la casa di produzione da lui fondata, gli Oats Studios? E soprattutto, cos’è successo ai progetti del film su Halo, prima, e del terzo capitolo di Alien, poi? Come mai improvvisamente si ritrova tra le mani Robocop? Oggi vi accompagno in un percorso tra quello che è stato, quello che sarebbe stato e quello che sarà dei film del giovane regista sudafricano. Per capire è l'uomo giusto per tornare a dirci "Vivo o morto tu verrai con me".
I temi
In quasi tutti i cortometraggi del regista e nei tre lungometraggi che lo hanno reso famoso (District 9, Elysium e Humandroid), è possibile ravvisare un filo conduttore molto netto, che si concretizza principalmente nelle tematiche affrontate e di conseguenza nelle ambientazioni. Non solo, ovviamente, ma questi due elementi spiccano marcatamente sugli altri.
Il primo, e il più evidente, è la segregazione: influenzato dalla storia del suo paese d’origine, Blomkamp tratteggia il diverso – puntualmente ghettizzato, privato dei diritti di base ed escluso dalla società – come una razza aliena in D9, l’intera umanità rimasta sulla Terra morente in Elysium e in Chappie, il robot protagonista di Humandroid.
L’atteggiamento dei protagonisti dei tre lungometraggi nei confronti della questione è diverso da film a film: nel primo, gli alieni subiscono le imposizioni degli umani, rimanendo passivi di fronte alla violenza cui sono sottoposti. In questo senso, D9 rende più facile empatizzare con la razza di megascarafaggi, facendo ragionare la spettatore su cosa voglia dire diventare il diverso, trovarsi letteralmente nei suoi panni.
Elysium ha un sottotesto più complesso: alcune recensioni lo hanno etichettato come un manuale di marxismo for dummies, tanto è forte la componente della lotta di classe. Matt Damon, protagonista del film, imbraccia il fucile per avere accesso ai diritti negati a sé stesso e alla sua famiglia trasformandosi in uno strano eroe action, tutto muscoli all’apparenza ma in sostanza eroe delle masse di diseredati.
Chappie affronta la sua esclusione in un terzo modo ancora: pur di essere accettato dalla banda di criminali da cui è stato adottato (per pura convenienza) si presta a qualsiasi azione, legale e illegale, senza pensarci due volte.
Tre approcci alla diversità, alla segregazione e alla voglia di accettazione che ci danno un’idea molto precisa di quanto il tema sia stato importante per il regista.
Ultima ma non meno importante, l’ambientazione. Nei film di Blomkamp (e nei suoi cortometraggi), possiamo ricondurre le ambientazioni a due macrocategorie: la squallida periferia del mondo e il paradiso della borghesia. Il primo è rappresentato dalla baraccopoli degli alieni, dalla Terra avvelenata dall’inquinamento e dagli squat in cui vivono Chappie e i suoi compari umani. Anche il secondo varia in base ai film e può essere la sede di una corporation crudele e onnipotente o il satellite su cui si sono rifugiati i ricchi o in generale chiunque abbia accesso a uno stile di vita dignitoso a discapito di chi ne è escluso. In questo il regista si rifà a un'estetica cyberpunk/post-apocalittica di povertà e privilegio.
È importante segnalare che tra i tre lungometraggi del regista, Discrict 9 e Humandroid si basano su cortometraggi girati dallo stesso Blomkamp e anche Elysium si basa su un progetto interamente costruito a partire dalle sue idee.
Il giovane Neill però ha coltivato negli anni un sogno nel cassetto: lavorare a un film su Halo e dirigere il terzo capitolo di Alien. Nella pratica questo meraviglioso sogno significava due cose: lavorare su del materiale non suo e dover rispettare le richieste di chi - grandi major in testa - detenevano i diritti di utilizzo di quello stesso materiale. Vediamo com’è andata a finire.
Halo e Alien, cos’è andato storto?
Il progetto di un film su Halo risale al lontano 2005, quando la Microsoft si rese conto di avere un gioco con un potenziale narrativo enorme e decise di trasporre il videogioco in un colossal hollywoodiano. Il primo problema stava nel rapporto tra la casa di Redmond e lo scintillante mondo del cinema: la fiducia necessaria a portare avanti un progetto di questo calibro era completamente inesistente e la Microsoft pretendeva di avere il pieno controllo creativo sulla realizzazione del film.
Avevano paura di incappare in una storia come quella del film su Super Mario, insomma. La Fox e la Universal, che si erano divisi i proventi per la realizzazione e distribuzione del film, scelsero Guillermo del Toro come timoniere. Il caro Guillermo, però, li abbandonò per dedicarsi un progetto personale a cui era particolarmente legato: Hellboy II (poteva risparmiare tempo e rimanere su Halo, secondo me. Ma la storia è andata diversamente).
Cosa fanno gli studios quando si trovano di fronte a un budget già stanziato con una parte già spesa e una serie di diritti opzionati? Cercano un regista giovane che faccia il suo lavoro col pilota automatico e li porti diritti al risultato. Che non sempre vuol dire qualità.
È a questo punto della storia che entra in scena Blomkamp, coinvolto da Peter Jackson - in questo caso nelle vesti di produttore - colpito dai cortometraggi ambientati nel mondo del gioco che Neill aveva girato. Al caro Blomkamp non pare vero poter lavorare a un film su un videogioco su cui si è consumato gli occhi e si butta a capofitto nel lavoro, riscrivendo parte dello script e dando avvio all’enorme macchina della preproduzione.
Il regista non aveva fatto i conti con il controllo imposto dalle case di produzione e non si era reso conto che avrebbe dovuto lavorare - ai tempi per la prima volta - su una storia e un universo non suoi. Tutte le decisioni andavano approvate dalla Microsoft, dalla Fox, dalla Universal e da tutti i produttori. Non esattamente la stessa cosa che dirigere qualche cortometraggio (ben fatto, per carità), in cui hai sostanzialmente carta bianca. Mesi e mesi di tira e molla tra il lato creativo e chi deteneva i cordoni della borsa.
Alla fine, Blomkamp viene messo alla porta, fa alcune dichiarazioni poco carine sulla Fox ma ne esce comunque bene: a Jackson le sue idee sono piaciute e quindi lo aiuta nella realizzazione del suo primo lungometraggio, District 9.
Di cosa sarebbe stato l’Halo di Blomkamp abbiamo solo qualche vago scorcio: andate a recuperare i cortometraggi per farvi un’idea di quanto sarebbe stato fedele al tono del gioco oppure riguardatevi Elysium e ditemi cosa vi ricorda la colonia circolare su cui vivono le elite antagoniste di Matt Damon nel film.
Gli anni passano, D9 viene candidato a ben quattro Oscar, tutti osannano il talento nascente di Blomkamp, poi esce Elysium e quasi tutti ritrattano quanto detto un paio di anni prima. Niente di nuovo sotto al sole.
Il regista sudafricano coltiva ancora il sogno nel cassetto di dirigere il terzo capitolo di Alien, franchise che ha influenzato il suo stile e a cui lui è particolarmente legato.
L’embrione del film è uno script di cui il regista ha sempre parlato come un suo progetto personale, ambientato nello stesso universo dei primi due capitoli - non avrebbe in alcun modo tenuto in considerazione tutto ciò che è uscito dopo - e che non avrebbe coinvolto nessuno dei personaggi esistenti nei film diretti da Scott e Cameron.
Capita che, durante la lavorazione di Humandroid, Blomkamp si trovi a lavorare con Sigourney Weaver a cui - stando sempre alle sue dichiarazioni - avrebbe confessato il suo sogno. La reazione dell’attrice sarebbe stata di quelle che ogni regista sogna: secondo lei, infatti, la storia di Ripley aveva ancora tanto da raccontare e sarebbe stato stupendo poter dare a quel fantastico personaggio i mezzi per farlo.
Blomkamp va in brodo di giuggiole: durante la lavorazione del suo terzo film, quindi, procede di pari passo con la scrittura del capitolo apocrifo di Alien, inserendo il personaggio di Ripley e prendendo a piene mani nell’universo creato da Ridley Scott per dare forma al suo sogno.
Nel corso di quell’anno in cui Neill ha lavorato a questo progetto, è arrivato addirittura ad assumere un concept artist per farsi affiancare, mettendo nero su bianco le idee che gli frullavano in testa. Il risultato sono alcune tavole molto interessanti che non possono non accrescere la curiosità del pubblico sull’argomento, anche a distanza di alcuni anni.
Da un certo momento in poi, però, la storia si fa confusa: il progetto si ferma bruscamente e nessuno - tranne Blomkamp stesso - ne parla più.
Le poche dichiarazioni del regista sull’argomento, però, non fanno certo luce sulla questione, anzi. Non avendo idea di cosa sia successo, posso solo riportarvi la voce più quotata, ossia quella secondo cui lo stesso Ridley Scott, una volta saputo del progetto, lo abbia categoricamente bocciato. Intervistato al riguardo, il buon Neill ha sempre fatto il vago, affermando solo che accusare il suo idolo di aver fermato il suo progetto sarebbe particolarmente doloroso.
Il che non smentisce né conferma.
Volendo cercare un filo conduttore nella vicenda e nella storia di Neill Blomkamp, verrebbe facile pensare che per la seconda volta il suo sogno si sia scontrato contro il dualismo tra la sua voglia di libertà creativa e la necessità di dover rendere conto agli ideatori di un universo ben definito e chiaro.
Insomma, quando Blomkamp deve sottostare alle decisioni di altri, quand’anche si tratti di idoli della sua infanzia, pare non riuscire proprio a trattenersi.
E adesso?
Quale sarà il futuro di Blomkamp, quindi? Dove e quando ritroveremo il suo stile e le sue tematiche?
La notizia positiva è che il regista naturalizzato canadese ha imparato la lezione – oppure si è stufato di prendere schiaffi in faccia dalle major – e ha fondato il suo personale studio: gli Oats Studios. Stando alle sue dichiarazioni più recenti, lo scopo di questa operazione sarebbe mettere sopra ogni cosa l’indipendenza creativa, producendo cortometraggi e trailer in cui i lavoratori coinvolti non debbano sottostare ad alcun limite.
Certo, nelle stesse interviste sempre Blomkamp dichiara che non ha idea di quanto sia sostenibile un modello di business di questo genere ma, ehi, vuoi mettere potersi divertire senza i cattivi e grigi uomini d’affari sul collo?
Ad oggi, quest’agenzia indipendente ha rilasciato diversi cortometraggi, tutti visibili su Youtube e Steam, con la speranza che vengano notati da qualche produttore che non faccia altro che tirare verdoni sui talentuosi ragazzi e gli proponga di produrre un film, come è stato per D9 e Chappie.
Nel frattempo, però, Blomkamp non è stato fermo e nel corso dell’ultimo anno ha annunciato non uno ma ben due progetti:
- The Gone World, thriller fantascientifico tratto dal romanzo omonimo scritto da Tom Sweterlitsch.
- Greenland, disaster movie con Chris Evans come protagonista.
La cosa divertente è che il primo dei due progetti è stato annunciato ma poi a un certo punto si è arenato e in rete le spiegazioni sono poche e confuse.
Sul secondo si sa, invece, ancora poco a parte il nome del presunto protagonista e la casa di produzione (la Thunder Road Pictures in collaborazione con la Riverstione Pictures).
Ma non è finita qua! Proprio mentre scrivevo questo articolo, cosa ha fatto Neill Blomkamp? Ebbene sì, ha annunciato un nuovo, ambizioso progetto.
Senza fare alcuna menzione di Greenland, sul cui futuro comincio già a nutrire qualche dubbio, il regista ha dichiarato che lavorerà a un nuovo Robocop - su una bozza di un ipotetico sequel scritta degli sceneggiatori dei primi tre film, Ed Neumeier e Michael Miner.
Il lungometraggio, ancora ignote le scelte di cast e la data di uscita, vedrà affiancati Justin Rhodes alla sceneggiature e Blomkamp alla regia e sarà distribuito dalla MGM. Il nuovo Robocop Returns non terrà conto dell'ultimo remake uscito nel 2014, ma sarà ambientato nell'universo dei primi film, probabilmente direttamente dopo il primo, permettendo quindi al sogno mancato con Alien di avverarsi con solo qualche anno di ritardo.
Una major a dettare tempi e scelte, una storia non nata dalla fervida immaginazione di Blomkamp e un lavoro di squadra imposto alla partenza del progetto. Gli ingredienti ci sono tutti.
Che siano le ennesime puntate di questa strana telenovela? Io continuo a tenermi aggiornato, altro che binge watching di Westworld.