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L'ultima stagione di Scrubs non era brutta, il problema è che c'erano le altre otto

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Prima di prendere le torce e i forconi proviamo a immaginare come avremo giudicato la nona stagione di Scrubs se non ci fossero state le precedenti

Sono passati quasi vent'anni dall'inizio di Scrubs, quando il dottor John Dorian proiettava alcuni dei passaggi più significativi della sua (probabile) vita futura su uno striscione d’addio, nel più toccante dei suoi viaggi mentali.

Dieci anni trascorsi da quella lunghissima passeggiata nel corridoio, accompagnato dai volti di tutti coloro che, giorno dopo giorno, puntata dopo puntata, hanno riempito la sua vita. Senza alcun dubbio, Scrubs è una delle serie comedy più riuscite di sempre (e l’etichetta di genere, per quel che mi riguarda, potrebbe essere tranquillamente omessa senza alterare in alcun modo il senso della frase).

Otto stagioni che ci hanno raccontato la carriera e la vita privata non solo di JD, Elliot e Turk ma anche di tutta un’infinita serie di personaggi di contorno, perfettamente caratterizzati in ogni sfaccettatura, da quelli ricorrenti fino ad arrivare a quelli comparsi per una manciata di puntate. Carla, Cox, Kelso, ma anche l’inserviente, Ted, Jordan, Laverne, Tod e tutti gli altri fanno parte di quell’olimpo di personaggi televisivi la cui sinergia sarà difficilmente imitabile in futuro.

Andare a sintetizzare la storia e le tematiche trattate credo sia inutile, fosse anche solo per esortare i folli che ancora non l’hanno vista (shame on you! Direbbe qualcuno) a recuperarla il prima possibile. Otto stagioni, dicevo… Più una. Ed è qui che solitamente, in ogni discussione al riguardo escono fuori i forconi, gli sguardi si fanno truci, i denti iniziano a digrignare.

La nona stagione di Scrubs è una delle produzioni tv più odiate e ostracizzate dai fan, con reazioni che arrivano al rifiuto della sua stessa esistenza. Atteggiamento, lo dico subito, comprensibilissimo, perché essere restii ad assistere al repentino cambio di direzione intrapreso da ciò che si è tanto amato è più che normale.

Per questi motivi dico sottovoce e con un misto di paura e imbarazzo che la nona stagione di Scrubs non è quella cagata pazzesca® come spesso viene descritta.

Anzi, se la si guardasse con occhio distaccato, la si vedrebbe per quello che è: una serie godibile, con i suoi alti e bassi, certo, ma senza nulla da invidiare ad altre serie comedy della stessa caratura.

È una produzione che ha visto la luce unicamente per cavalcare l’onda di Scrubs, considerando anche che l’emittente televisiva ABC ha prodotto, oltre a questa, solo l’ottava stagione del format, dopo averne comprato i diritti dalla NBC, e sperava che se ne potesse ricavare qualcosa di più. Ma è un prodotto su cui, indubbiamente, si è provato a lavorare bene.

Non è stato possibile andare oltre perché ci si è resi conto che giocare sulla continuità con il passato, più che giovare a questa operazione la stava danneggiando e, una volta incassato il niet anche da alcuni attori storici (fra cui lo stesso Zach Braff), si è deciso di interrompere. Sicuramente ciò che più di tutto ha pesato sulle (innegabilmente esili) spalle di questo spin-off-ma-non-troppo è il confronto obbligatorio con il passato, con la tridimensionalità dei personaggi di cui parlavamo prima, con la loro maturazione avvenuta stagione dopo stagione, accompagnata da un’evoluzione dei temi centrali della serie e da quella profondità emotiva che è sempre stata un suo grande punto di forza.

Se a questo aggiungiamo il fatto che Scrubs sia una di quelle serie coronate da un finale perfetto, ben pensato ed egregiamente scritto, si capisce il perché dell’astio verso un continuo che ha visto un rinnovamento quasi totale del cast. Scrubs: Med-school, però, al netto delle sue innegabili mancanze, presenta delle buone, alcune ottime, idee e diverse caratterizzazioni particolarmente riuscite (posate i forconi, vi prego).

Cole, Drew e Denise, i nuovi protagonisti, non sono personaggi in grado di rivaleggiare con i loro predecessori ma, inquadrati nell’ottica più ampia delle serie comedy USA, sono stati scritti in modo che potessero dare vita a situazioni comiche ed emozionali capaci di catalizzare l’attenzione del pubblico, che ci si potesse affezionare al loro vissuto, ci si potesse empatizzare. Sicuramente non al livello della serie originale ma, ecco, di un The Big Bang Theory sicuramente sì.

Certo, c’è poi da fare i conti con la brutta copia di JD, quella Lucy Bennet che, palesemente scritta per esserne l’erede spirituale, risulta essere fastidiosa e ridondante, non mantenendo nulla della carica del suo predecessore. Ma, ehi, quante sono quelle ottime serie (ribadisco, non che questa lo sia. Ancora, giù i forconi. Giù!) con un protagonista che si prenderebbe volentieri a pugni in faccia?

Med school è una serie che, se vista come puro intrattenimento, senza andare a ricercare a tutti i costi la potenza dell’originale, funziona nelle dinamiche che mette in gioco, nel rapporto che si viene a creare fra i personaggi, nelle situazioni comiche, nelle battute, nella scrittura. Presenta alcune puntate che, se fossero state inserite nelle prime otto stagioni, oggi staremmo ricordando in maniera totalmente diversa.

Paradossalmente i personaggi e le situazioni che più si distaccano dagli stilemi dettati dalla serie originale sono quelli che funzionano meglio mentre, al contrario, la ricerca dell’omaggio a tutti i costi è ciò che rende meno. La timida evoluzione del personaggio di Cole e del suo rapporto con i colleghi o l’esplorazione del lato più intimo di Drew e Denise sono soluzioni narrative che raggiungono dei picchi davvero buoni, per gli standard non-Scrubs.

Anche le interazioni tratteggiate fra i nuovi e i vecchi protagonisti riescono a dare vita a passaggi divertenti o malinconici, quasi al livello di quelli visti nelle stagioni precedenti. Le coppie Cox/Drew, Cole/Kelso, Turk/Denise/Cox (ok, questo è un terzetto…) funzionano molto bene e l’unico difetto che presentano è quello di non essere state particolarmente approfondite.

Mai come in questo caso l’anima nostalgica di ognuno di noi è capace di accecare ogni qualità di giudizio. L’ottava stagione di Scrubs, quello vero, infatti, presenta diversi problemi, principalmente inerenti al ritmo, allo sviluppo della narrazione e di alcuni personaggi, complice il fatto che, nei piani iniziali, ci si dovesse fermare alla settima.

Anche qui, esattamente come nella nona, ci sono buone puntate che fanno da contraltare ad altre di molto sotto la media. Se parliamo in un’ottica meramente qualitativa, la nona stagione di Scrubs (esiste, bisogna farsene una ragione) non ha nulla da invidiare a questa (eccezion fatta per l’ultima puntata che ci ha strappato il cuore) ed è ovvio che tutto cambia se ci concentriamo sull’affezione ai personaggi e alle loro storie, elemento che in Med school viene ovviamente a cadere.

Ora, qui non c’è da convincere nessuno, però probabilmente Scrubs: Med School è stata giudicata in maniera eccessivamente negativa, già dal momento del suo annuncio (e pensate che all’epoca non c’era ancora l’odierna potenza di fuoco dei social). Non è neanche lontanamente una serie perfetta ma fa il suo dovere, intrattenendo, giocando con il suo passato e, in qualche modo, omaggiandolo.

Per chi non l’avesse fatto il consiglio è quello di dargli almeno una possibilità, una volta superati i pregiudizi e aver raccolto i pezzi del proprio cuore lacerato dal finale di Scrubs. Quello vero.

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