

Lucca, Playstation e Las Vegas
Alla fine della fiera è arrivato il momento di riflettere un po' su quello che si è visto a Lucca in quei cinque giorni di folle tempo sospeso.
Complessità e contraddizioni
Quando il modernismo non fu abbastanza per coprire la varietà di situazioni e temi che la complessità e la contraddittorietà del presente offrivano, gli architetti si inventarono il post-modernismo.
Non fu una scelta a tavolino, almeno non per molti ma sicuramente per coloro che seguirono e inavvertitamente incappavano in un metodo ironico di analisi della realtà e di ricomposizione della stessa dopo che l’ironia l’aveva fatta a pezzi.
Semplicemente ad un certo punto le forme imposte dalle regole dello stile internazionale, vero dominatore del ‘900, portate avanti da un gruppo di irriducibili successivamente noti come “avanguardisti” non erano più sufficienti e, come tutti i movimenti che hanno un’origine e una fine iniziò semplicemente a collassare, almeno tematicamente, sotto i colpi del presente.
Tra gli oppositori agli ultimi scampoli di modernismo c’era Robert Venturi (per gli amici Bob) che si insinuò in questa crisi tematica instaurando un dialogo tra il presente del Moderno e il passato che i principali autori del Movimento avevano escluso, in quel "garbato manifesto" che fu Complessità e Contraddizioni nell’architettura.
Nel proporre lo step successivo ed uscire dall’impasse, nel 1968 Bob Venturi con la moglie Denise Scott Brown e con un manipolo di studenti di architettura e grafica parte per un workshop a Las Vegas che diventerà storico grazie alla pubblicazione che ne venne fuori, quel Learning from Las Vegas che diviene uno dei testi più importanti per la comprensione della non-città, dello sprawl cresciuto intorno all'elemento caratteristico della strip, paradigma e sintesi di tutte le città dei paesi capitalisti.
Imparare da Las Vegas
Quello che gli avanguardisti ritenevano spazzatura era in realtà la più genuina e pulsante forma di vita urbana d’America e un architetto sgamato lo aveva capito.
Il ‘900, secolo breve ma soprattutto secolo americano, comportava intrinsecamente la diffusione del modello capitalista declinandolo localmente in una tipica spersonalizzazione urbana: qua dove c’era l’erba ora c’è una città.
Nell’analisi che Bob e Denise fecero di Las Vegas campionarono forme, segnali, tipologie e simboli da loro incontrati durante il percorso giungendo ad una conclusione: “less is bore” (poco è noioso) parafrasando uno dei dictat del modernismo e uno degli aforismi peggio usati a posteriori di Mies van der Rohe, e per rifare architettura bisognava abbracciare nuovamente la dimensione più popolare e quindi imparare da Las Vegas con i suoi segnali chiari, le sue architetture leggibili e una sfrenata vocazione ad accogliere, affascinandoli, le masse adoranti in cerca di quel miraggio in mezzo al deserto che è il sogno americano.
È in questo momento che Venturi disegna una delle sue opere più famose “I am a monument”: Io sono un monumento è la scritta che giganteggia sopra il cartello montato su di un anonimo edificio, parodia dell’edificio generico che si distingue come monumento solo nel momento che dichiara la sua natura.
Lucca 2022
Ma i miei cari lettori ora si chiedono cosa ha a che fare questa pedante lezione sull’architettura post-moderna con Lucca?
Lucca riesce ad essere un laboratorio funzionale per esaminare alcuni aspetti critici dell’organizzazione di eventi talmente grandi da far collassare il sistema urbanistico, dal punto di vista dei flussi, della fruibilità dello spazio e delle piazze, dei mezzi pubblici. Lucca riesce ad essere sempre un mezzo miracolo anche quando stacca più biglietti di tutte le altre fiere del mondo occidentale.
In mezzo a questa certosina organizzazione dove tutti i player sono equilibrati con fare da giocoliere è legittimo aspettarsi di più?
Non so se avete presente Lucca C&G, non la città di. Lucca funziona per padiglioni: si piazzano queste vetuste strutture molto semplici, giusto un telaio di metallo a reggere un tendone di materiale plastico impermeabile con una forma funzionale a coprire uno spazio in maniera razionale. Sono bianchi sulla carta, ma l’utilizzo li ha consumate conferito loro un colore indefinito che si specifica solo attraverso la loro natura. Inoltre pensati sostanzialmente per il clima che va irrigidendosi della fine di ottobre, con le inaspettate temperature primaverili che trasformano gli ambienti in serre.
Che tu sia uno nome grosso come Nintendo o un editore che vuole associarsi agli altri e piazzare il suo stand nella prestigiosa vetrina di piazza Napoleone (centralissima), o la casa editrice di giochi di ruolo/da tavolo che finisce in Carducci nel tendone che l’imperatore Shaddam IV porta su Arrakis.
In termini di fruibilità dello spazio come si traduce questo? Nelle code maledette.
L’anno scorso era un’edizione a scartamento ridotto quindi questa sensazione opprimente di vedere una fila di 4 ore, o percorrere le strade e trovarsi imbottigliati nella fiumana non la avevi. Ora, io sarò anche un privilegiato che salta, saluta l’addetto ed entra dalle uscite di sicurezza ma in termini puramente professionali (della mia vera professione, non di quella che fingo di fare) è critica.
Gli stand non hanno smesso di funzionare in quanto tali, è il pubblico a non andare più d’accordo con quella forma, soprattutto in termini esperienziali, e alla lunga quanto può valere la candela fare una fila per acquistare qualcosa che ormai in termini assoluti non è più indisponibile come era anni fa?
Ma questa consapevolezza mi avrebbe preso il terzo giorno, quando per spostarmi da un capo all’altro della città ci impiegavo mezz’ora, ma voglio ritornare con la mente alla prima sera che ho passato lì, a fiera non ancora iniziata, in questo airbnb praticamente alle spalle della Piazza Anfiteatro. Avevo appena cenato con delle deliziose costine di agnello ed eravamo appena usciti dal ristorante per dirigerci verso la piazza per quella che, a tutti gli effetti, è il vero e proprio fuoriLucca, il caldo centro del mondo della cultura pop italiana, dove nel giro di tre metri quadrati puoi trovare 17 autori, una ventina di disegnatori, giornalisti o gente che si spaccia per, content creators, attori, doppiatori, qualche regista, editor e PR.
Se c’è qualcuno da incontrare a Lucca sai che prima o poi passerà di lì.
Insomma giriamo sotto uno degli archi di accesso alla piazza e ce lo troviamo lì.
Questa dovrebbe essere stata la sensazione che hanno provato gli spettatori dell’esposizione universale la prima volta che fu scoperta la torre Eiffel: in un gesto spudorato e sobrio che come prima cosa ho definito “volgare”, lo stand di Playstation ha preso possesso di piazza dell’anfiteatro in una mossa che, probabilmente, segnerà le edizioni a venire. Definirlo stand non è nemmeno corretto, è un'installazione.
Playstation Italia sbatte ad occupare una metà dell’ellisse della pianta due strutture, formalmente in nessuna connessione tra loro, affiancante (teoricamente) quanto gli spazi tecnici e gli standard di sicurezza gli permettevano di affiancarle. La prima, una semisfera composta da barre bullonate di acciaio convergenti nella cupola, rivestita da un telo trasparente plastica ospitante un “salotto da streaming”, quindi poltroncine e sedute comode modello talk show con alle spalle una cabina di regia aperta, disposta su di una scrivania semicircolare lunga quasi quanto la metà della semisfera.
Niente di cui stracciarsi le vesti, è sensato, funziona, sembra metà della sfera dell’esposizione universale di Orlando. La promessa di un futuro che non è mai arrivato ma che ha indubbio valore pratico nel coprire uno spazio solo tramite forma. Unico inconveniente è la scabrosa questione del controllo ambientale risolta, ad occhio, da sette condizionatori per impedire che gli occupanti venissero vasocotti dalle inaspettate calde giornate di ottobre.
Ma l’elemento che ha turbato per tutti queste lunghe notti di fiera i nostri sogni è la seconda di queste: una colossale croce direzionale in travi a traliccio sulla quale centralmente è montato un maxischermo per trasmettere le dirette e perimetralmente illuminata a giorno da profili di neon gialli caldi a richiamare senza il benché minimo dubbio il logo del Playstation plus.
Volgare, sfrontato, arrogante, e allo stesso tempo una delle cose più interessanti anche dal punto di vista concettuale di tutta la manifestazione.
Piuttosto che occupare un ambiente angusto soggetto alle regole dei padiglioni, Playstation Italia ha trasformato tutta piazza anfiteatro in un padiglione, non ci sono pareti di plastica, non è necessario immaginare e convogliare i flussi perché tutto questo lavoro lo fa già la naturale conformazione della piazza (che di notte accoglie molti più visitatori che di giorno). Inoltre spicca per lucidità la ratio performativa dell’installazione, dove il fulcro non è la vendita (evitando quindi una serie di problemi di sicurezza legati al furto) di qualcosa ma la partecipazione al momento: streamer e pubblico sono ancora separati da uno schermo che smette di essere quello del device ma diventa quello della bolla, aumentando la sensazione di prossimità tra pubblico e creator tipica della manifestazione lucchese.
Per certi versi è la stessa cosa che è stata fatta nella House of Creators di Arkadia, il raziocinio dell’occupare una struttura pre-esistente, compartirla e adeguarla alle necessità del transito dei flussi, tenere ben separati ma visibili i creator dal pubblico concedendo spazi in cui questi due mondi possano interagire in modo controllato, sensato, permettendo il lavoro di tutti con diversi gradi di permeabilità senza la sensazione di assedio: l’obiettivo minimo al quale un padiglione in una fiera contemporanea deve aspirare.
La presenza della Croce Direzionale in piazza inoltre rappresenta una fortissima appropriazione dello spazio da parte del pubblico che alla sua luce si incontrava o creators venivano coinvolti in happening più o meno estemporanei, il momento più stupefacente però è stato, probabilmente, un torneo notturno di Bayblade che per pubblico ed enfasi ha fatto vacillare i neon tanto da preoccupare gli addetti alla sicurezza.
È piazzare un punto, costringere il pubblico a spostarsi secondo una logica diversa, non fare muro alla città attraverso un tendone spersonalizzante ma trasformare la città (o una parte di essa) in altro tramite un confronto dialettico tra pre esistenza e temporaneità. Questo è il contemporaneo, è Orlando, la Torre Eiffel, il Christal Palace e Las Vegas e come in tutti questi esempi, è stato il pubblico più che la critica a dichiararne il successo di atti sfrontati. Coraggiosi e, sì, volgari nel modo in cui dialogano direttamente con il popolo, hanno spinto un po’ più in là quello che è possibile e non è possibile fare in una fiera dal punto di visto della fruizione dello spazio e non soltanto immagazzinare persone in fila verso un'acquisto.