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Lies of P e l'essenza necessaria a un soulslike

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Lies of P è riuscito a farsi apprezzare come Soulslike, ma quali sono i componenti per riuscire a creare un Souls vero come questo?

Cos’è che rende un Soulslike bello da giocare? La risposta varia per tanti e ci sono un sacco di santoni (semicit.) pronti a dirvi la loro verità. A mio giudizio l'unica costante è che basta creare un mondo che sia intrigante, bello da esplorare e con la giusta dose di narrazione ambientale. Certo volendo potreste leggere i quattrocento libri usciti sul tema dei souls e farvi una cultura invidiabile, anzi vi invito a farlo perché è sempre bello approfondire le proprie passioni, ma alla fine della fiera è solo giocando che potrete rendervi conto degli ingredienti che servono a regalarvi quell’esperienza alla Elden Ring.

Il problema nasce nel momento in cui il soulslike non è affidato solo ai maestri del genere ma diventa un feticcio a cui aggrapparsi per vendere, sviluppando così idee che alla fine di unico non hanno nulla se non il voler prendere in prestito una formula per usarla come tag su Steam. Perciò il panorama dei soulslike attrae e rifugge i suoi abitanti e spesso è costellato di fallimenti, ma Lies of P fa eccezione. Di motivi ce ne sono diversi, ma il grosso pregio è aver creato un mondo di gioco - la sua Krat - che riesce a incantare quanto incuriosire chiunque ne muova i passi, dimostrandosi una tela lastricata di idee geniali che si accendono come lampadine a ogni passo del giocatore.

Il gameplay, del resto, non richiede chissà quale intuizione ed è sempre la stessa solfa con qualche nota di azione in più: schiva, para, attacca e cambia il tuo personaggio di falò in falò, tradotti in Stargazer qui. Aggiungi qualche opzione di quality of life chiesta a gran voce negli anni di vita di Dark Souls, spolveraci Sekiro sopra e hai tutto quello che ti serve per la parte meccanica del tuo burattino, quello che ti manca dopo questo processo  è un cuore: l’ambientazione. Quella non è facile per nessuno da costruire, è letteralmente il fattore di vita o di morte per un soulslike e se è troppo derivativa che senso ha giocarci se ho la parola del “Dio Hidetaka Miyazaki” giocabile su 6 titoli? 

Ma Lies of P è furbo, ha giocato bene le sue carte e si è inserito nella mancanza da Bloodborne che tutti stanno cercando di colmare in qualche modo, però gli ha tolto tanti elementi gotici, ci ha mantenuto la passione per le stelle e poi ha stravolto la mistura buttandoci dentro lo Steampunk e rifacendosi a Pinocchio per dare una nuova connotazione al meccanismo di corpo e anima. Anzi, vi dirò di più: a livello filosofico Lies of P fa ancora meglio di Dark Souls, insinua le sue maglie attraverso ogni strato sociale e nei ranghi dei nemici, fornisce un team di persone che fanno esposizione nell’hub principale e le rende attive nel raccontare gli eventi, anzi addirittura nel viverli e subirne le conseguenze. Insomma gente viva, davvero, e non solo NPC la cui comprensione passa attraverso 4 pagine di Wiki e ricerche neanche fossimo novelli Indiana Jones.

Di fili neanche l'ombra

Nelle interviste spesso e volentieri gli sviluppatori hanno commentato la scelta di Pinocchio come successiva a quella di fare un soulslike, effettivamente di Pinocchio come favola c’è poco o meglio c’è quello che serve nelle fondamenta della tragicità di un protagonista alla ricerca di un pezzo di sé e che sostanzialmente è un involucro, elemento cardine dei soulslike più conosciuti e amati. Pinocchio è sempre stato un viaggio tra zone pericolose e trappole di inganno o ingenuità, espressione massima della progressione di un giocatore che scopre il mondo esattamente come il burattino che si avventura fuori dalla sua casa.

Francesco Tanzillo
Lies of P è la dimostrazione che le fanfiction esistono anche nel mondo del videogioco. Chiariamoci, non sto parlando della storia di Pinocchio riadattata in un contesto diverso, con meccaniche diverse, con i personaggi che hanno quei nomi lì ma che fanno, effettivamente tutt’altro. La fanfiction è tutta su Bloodborne, un gioco che per me, ma evidentemente anche per gli sviluppatori, è uno dei migliori titoli della sua generazione. Se le fanfiction sono la manifestazione più pura di un sentimento che vorrebbe quei personaggio affrontare altre situazioni, oltre la storia che li vede agire, o parallelamente a volte, Lies of P fa la stessa operazione, su un media diverso e quindi con un linguaggio completamente diverso da quello meramente testuale: tale è il desiderio di continuare a giocare a Bloodborne oltre il suo termine naturale che gli sviluppatori si sono fatti il loro Bloodborne, con tutti i limiti del caso in termini di idee, sistema di combattimento, equipaggiamento ed ambientazione. È una lettura superficiale quella di associare esclusivamente Lies of P a Bloodborne? E sticazzi! Perché in termini percettivi è impossibile schivare il deja vu, nonostante nel paragone Lies of P ci perda, anche parecchio. È una suggestione, una variazione sul tema, un doveroso omaggio, un’opera di mimesi oggettivamente imperfetta ma che va a colmare un vuoto, almeno per noi che siamo tutti Orfani (di Kos).

Qui però lo scenario non è quello italiano e ogni caratteristica tipica dello scritto di Collodi viene deformata per avvicinarsi allo steampunk di una distorta belle epoque europea. Che ci sta, effettivamente: ora come ora un pupazzo di legno in un contesto fiabesco avrebbe dato fin troppo colore a quello che invece doveva essere un percorso dalle tinte cupe (come piace a voi amanti della lore) in cui la speranza potesse essere rappresentata tangibilmente. Quindi niente di meglio della cara meccanica dell’acciaio, unita però al lato “umano” della questione passante attraverso le invenzioni e il marciume corrotto della carne che ha osato troppo.

Lies of P è poi un gioco coreano, è bene ricordarlo, e l’Asia in generale è abituata a dipingere l’Europa come un paese estremamente legato al rinascimento e alla cultura inglese/francese, così come noi associamo l’Asia all’architettura Giapponese o ai grattacieli di Hong Kong. Non è un fattore di demerito, anzi per certi versi le rappresentazioni di queste sfaccettature hanno portato ricchezza a periodi storici poco battuti, proponendo angolazioni particolari come la Krat di Lies of P, dove la distopia si fonde con una gloria passata ancora palpabile nell’aria. La maestria sta nel proporti innanzitutto il perché Krat è famosa, anzi ti introduce proprio nel bel mezzo della fiera della scienza. Può sembrare una cosa stupida e di poco conto per la trama, ma la prospettiva che l’incipit di Lies of P ti fornisce è quella di essere di fronte a un posto ricco di invenzioni che inevitabilmente sono diventate macchine assassine, conservando però la loro unicità e il come erano state proposte, anche l’integrazione di queste meraviglie nella vita di un tempo diventa un fattore di curiosità che spinge a chiederti come possano essersi distorti nei vari quartieri e di come abbiano reagito i vari abitanti a una rivoluzione assassina appena scoppiata.

Come la Caccia di Bloodborne, il contesto “urbano” e cittadino in cui siamo calati diventa lo scopo nel capire come quella società funzioni e cosa ci sia davvero dietro quella follia che imperversa nelle strade, chiamati a quella pulsione proprio dal fatto che intrinsecamente non siamo nati da essa ma ne siamo strettamente correlati. Elementi estranei in uno scenario che non ci appartiene: un incipit ben più potente del “sei un reietto in un mondo fantasy, vai ed esplora liberamente, trova i Lord” che ha ormai poco da dire. Per noi del bel paese poi c’è anche la voglia di scoprire come il Pinocchio che conosciamo in trecento salse sia stato preso come riferimento, portandoci quindi alla spasmodica ricerca degli easter egg neanche fossimo Di Caprio con i popcorn davanti allo schermo.

Guida turistica di Krat

Tutto questo è in realtà un grosso castello di carte, anche con la migliore scrittura: deve essere l’ambiente a narrare bene, il design delle zone deve assolutamente convincere ed essere abbastanza caratteristico da portarti a cercare ogni anfratto per indizi o pezzi di storia da sapere per dare un senso al tutto. E poi, se ci scappa, anche delle viste panoramiche che non solo fanno fanservice per gli occhi, ma devono anche darti un’idea dei luoghi chiave in cui ti stai dirigendo o potresti dirigerti, del resto c’è un motivo se Krat si vede praticamente sempre e se spiccano certi edifici invece che altri. In questo Lies of P riesce perfettamente, anzi direi che è sorprendente il modo in cui è riuscito a essere molto lineare nel suggerirti la progressione senza però farti sembrare di essere di fronte a mappe lineari o spoglie.

Felice Garofalo
Da quando sono stato folgorato sulla via dei soulslike, confesso che ogni tanto ho bisogno di un’incursione in un mondo dove dovermi immergere senza distrazione alcuna e che richiede la mia totale attenzione e concentrazione. Per tanti anni ho potuto divertirmi recuperando la saga di Dark Souls, poi Bloodborne, poi Elden ring, quindi Demon’s souls e sono stato (quasi) sempre appagato dalle ore passante rotolando e prendendo mazzate. Ogni tanto ho testato qualche prodotto nuovo, ispirato ai suddetti giochi, con fortune alterne. Fino all’arrivo di Lies of P: nonostante l’ambientazione non sia tra le mie preferite – ma questo è un problema mio con lo steampunk – devo dire che la mia esperienza è stata positiva sotto ogni aspetto. Gameplay, meccaniche di gioco, la necessità di studiarsi le statistiche del personaggio per non perdere colpi, lo studio delle aree e dei boss, la frustrazione quando muori l’ennesima volta e la soddisfazione quando ce la fai. In parole povere, Lies of P è uno dei pochissimi degni eredi di una tradizione che ha saputo scavarsi il suo posto nella nicchia dei videogiocatori, conquistando una fetta di pubblico sempre più ampia. A suon di mazzate, ovviamente.

Ogni ambiente ha una cura maniacale nel descriverti il suo passato più recente, magari mostrandoti una via del commercio di lusso trasformata in un luogo infestato da esseri anomali. In particolare direi che il lavoro più importante l’hanno svolto nei posti chiusi, come quando il nostro protagonista si ritrova tra i piani di una galleria commerciale con negozi d’abbigliamento, cantine e vene fognarie. Non mi sono mai sentito frustrato nell’esplorare un luogo e non necessariamente ogni cosa doveva essere asservita al pericolo, alle volte Lies of P omaggia la semplice bellezza della belle epoque e non tenta neanche di nasconderlo, anzi incalza utilizzando musiche d’epoca e giradischi per incrementarne l’effetto. Anche il Grillo Parlante è un tocco unicamente asservito alla narrazione ambientale, dandoci qualche stralcio di contesto e invogliandoci a cercare i riferimenti che nomina o semplicemente a verificare se i suoi avvertimenti siano reali.

La varietà offerta giustifica poi la tematicità con cui è stato diviso l’intero gioco, dove ogni area risponde a una specifica ispirazione e la cui conclusione viene espressa nel design dell’inevitabile boss di fine livello. E, in tutta franchezza, mi va bene che non sia tutto così dispersivo con tanti boss nascosti o chissà quale transizione di tono/area. La progressione avviene su un binario sensato, in crescendo e con sempre soddisfazione nello scoprire nemici unici che rispondono proprio a quello che l’area vuole comunicare, portandomi a chiedere cosa ci sia dopo la porta successiva. Questo per me deve fare un soulslike in definitiva, non tanto dimostrare di essere difficile quanto di utilizzare quel racconto di crescita e sopravvivenza per farti vivere appieno una storia che devi scoprire solamente con lo sforzo personale, traendo le tue conclusioni e sudando (ma sempre accessibilmente) per mettere insieme i pezzi del puzzle. Esattamente come Pinocchio ha tribolato per diventare un bambino vero tramite la consapevolezza e la forza d’animo, Lies of P si realizza solo ti guardi indietro e vedi i meriti e i peccati di Krat, esposti alla brillantezza dei suoi fasti dorati ormai caduti in rovina e assimilati dalla volontà di averli conosciuti fino alla loro ultima punta spezzata.

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