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La vita bugiarda degli adulti: smarginare e rimarginare

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Dal 4 gennaio è disponibile su Netflix la serie tv tratta da “La vita bugiarda degli adulti”, il romanzo di Elena Ferrante uscito per edizioni e/o nel 2019. Proviamo a destreggiarci tra confronti inevitabili con i fantasmi di Lila e Lenù e le controversie sulla rappresentazione dell’underground napoletano.

Antefatto: i fantasmi

Ogni volta che un’artista dopo aver prodotto un’opera celebrata da critica e pubblico come un capolavoro si decide ad annunciare qualsiasi cosa arrivi dopo cerco di mettermi nei suoi panni e mi immagino quanto sia difficile, a livelli quasi devastanti, convivere con l’ansia e col peso dell’aspettativa del mondo intero. Magari è per questo che Elena Ferrante ha deciso di restare anonima anche e ancora di più dopo il successo della tetralogia dell’Amica Geniale: non ci sono grandi strategie di marketing o complesse elucubrazioni di teoria critica sulla morte dell’autore, solo l’angoscia di una persona ansiosa che non aveva voglia di sentirsi dire continuamente “Questo non è bello come quell’altro”.

Alla luce di tutto ciò quando ho guardato la serie tv tratta dal suo La vita bugiarda degli adulti (edizioni e/o, 2019) su Netflix ho provato a non farmi trascinare nella trama dei confronti incrociati tra cinque libri e due serie tv ma ho miseramente fallito, finendo con l’arrendermi al fatto che è inevitabile pensare per tutto il tempo a quanto c’è di simile e di profondamente diverso rispetto alla tetralogia letteraria e alle tre stagioni televisive dell’Amica Geniale. Non so se sia una cosa voluta e studiata dalla Ferrante e da chi ha lavorato a questa serie o se semplicemente si tratti di una casualità emotiva dettata dal fatto che a noi che seguiamo questa nuova vicenda e questi nuovi personaggi le vicende e i personaggi “di prima” sono rimasti appiccicati addosso a un livello quasi viscerale, so solo che le ombre ingombranti di Lila, di Lenù e di tutti gli altri personaggi che ruotano intorno a Lila e Lenù sono sempre sullo sfondo.

La geografia

Quando ho letto L’amica geniale per la prima volta e guardato quasi contemporaneamente le prime stagioni della serie tv vivevo a Napoli e a un certo punto mi ero fissata col voler fare una specie di tour dei luoghi di Lila e Lenù. Non l’ho mai fatto ma ricordo distintamente di essere stata colpita dalla realizzazione che Rione Luzzatti, che è il posto in cui si sviluppa la maggior parte della vicenda della tetralogia, non è troppo distante da Officina 99, un posto in cui sono stata solo una volta (ad un concerto di DJ Gruff) e che tuttavia mi sembra di conoscere da sempre dai racconti leggendari dei compagni più grandi dei collettivi che avevo frequentato durante l’adolescenza.

Per arrivare da Officina a Rione Luzzatti a piedi, secondo Google Maps, ci vogliono solo tredici minuti e forte di questa consapevolezza mi è capitato spesso di scrivere nella mia testa un sacco di fanfiction su Lila immersa nella Napoli degli spazi occupati. L’episodio di La vita bugiarda degli adulti in cui Giovanna, la protagonista adolescente interpretata da un’ottima Giordana Marengo, mette piede ad un concerto ad Officina insieme alle sue amiche, a tratti sembra la manifestazione distorta di queste mie fantasie e il fatto che il concerto fosse un concerto dei 99 Posse che da Officina negli anni ‘90 in cui è ambientata la storia sono nati, è ancora più significativo.

La presenza di una Napoli underground molto diversa dall’immagine fatta di criminalità e pseudofolklore posticcio che ci hanno dato in pasto i media mainstream finora è forse il lascito più importante di questa serie. D’altro canto, però, il fatto che qui, a differenza di quanto succedeva in L’amica geniale in cui la città era una presenza sempre funzionale alla narrazione e parte della storia, la geografia appaia molto più vaga e anche il contrasto tra la Napoli dei quartieri alti e quella dei quartieri popolari più che raccontare una storia di lotta di classe sia funzionale solo a rappresentare la spaccatura della famiglia, aumenta il rischio e la percezione (che in effetti molti compagni napoletani hanno avuto) dell’uso meramente estetico degli spazi politici e geografici.

La famiglia

Mentre la storia di Lila e di Lenù era costruita sul concetto di smarginatura, di uscita dai confini di sè stessi e delle proprie origini, quella raccontata in La vita bugiarda degli adulti è invece la storia di una rimarginazione, di Giovanna, l’adolescente che costruisce la propria identità ricucendo le ferite che nella generazione precedente - quella di suo padre Andrea interpretato da Alessandro Preziosi e di sua zia Vittoria, Valeria Golino - hanno mandato in pezzi la famiglia.
Se L’Amica Geniale, infatti, ci aveva abituati ad una narrazione corale in cui nonostante l’ovvia preponderanza di Lila e Lenù sulla scena anche i personaggi secondari e marginali apparivano tridimensionali e caratterizzati, qui, in La vita bugiarda degli adulti, assistiamo ad un ripiegamento sulla dimensione familiare in cui i personaggi diventano via via più sfumati man mano che si allontanano dal nucleo centrale.

Non è chiaro, però, se questo ripiegamento sia una precisa scelta di campo narrativa, una meta-allegoria di quello che succede quando si esauriscono le energie per la lotta di classe che permea tutta la tetralogia dell’Amica geniale, o se invece sia semplicemente un’occasione sprecata. Certo, c’era il rischio che affrontare in modo più politico la divergenza tra Vittoria, la zia pecora nera dei quartieri popolari, e Andrea, padre di Giovanna e fratello di Vittoria diventato intellettuale borghese, avrebbe finito per far sembrare ancora di più questa storia un ricalco della precedente, ma forse, tutto sommato, era un rischio che poteva valere la pena correre.

Il minimalismo emotivo, il fatto che la tensione drammatica anche nei momenti di climax sia molto bassa, in genere sarebbe un elemento apprezzabile ma qui, unito al ripiegamento di cui sopra, forse contribuisce all’impressione generale di una storia esteticamente bella, recitata bene e accompagnata da una colonna sonora bellissima, ma tutto sommato annacquata a priori nella sua costruzione e nel suo sviluppo.

L’amore

Se pure avessimo provato a guardare La vita Bugiarda degli Adulti senza pensare continuamente ai fantasmi di Lila e Lenù, la comparsa di Giovanni Buselli, Enzo in L’amica Geniale, nel ruolo di Roberto, lo studioso di teologia che diventa il love interest di Giovanna o giù di lì, ce l’avrebbe comunque reso difficile se non impossibile.

Se Enzo in L’Amica Geniale era l’anti-Nino Sarratore, l’unico uomo non tossico della vita di Lila, qui invece Roberto è un Sarratore 2.0 che sostituisce la religione alla politica e alla letteratura (e che edipicamente assomiglia anche molto all’altro Sarratore 2.0 di turno, Andrea, il padre di Giovanna). Anche se Buselli è sempre molto bravo un casting diverso forse avrebbe giovato almeno un po’ a far percepire questa storia come una storia che riesce a camminare sulle sue gambe da sola senza essere trascinata eccessivamente dai fantasmi della precedente.

 

Ma nel complesso com’è La vita bugiarda degli adulti? Vale la pena vederla? Sì e no. Sì per l’estetica, le musiche e alcune interpretazioni, no per la storia e per come è costruita, per la sua debolezza, per il suo non decollare mai, per questo senso generale di incompiutezza e vaghezza che magari è una scelta voluta e consapevole ma nella sua messa in atto finisce per sembrare solo svogliatezza. A me, personalmente, è piaciuta mentre la vedevo ma a distanza di una settimana mi sembra quasi di non averla vista e che mi abbia lasciato addosso e dentro davvero molto poco.

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