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Io, il joypad e papà: di come in quarantena ho riscoperto una vecchia squadra

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Storia di come un po' di videogiochi padre e figlia mi abbiano permesso di rsicoprire il mio papà. Un caldo invito a giocare in famiglia ai single player.

In questa quarantena ho riscoperto le meraviglie di una Play Station 4 e visto che ho riscoperto anche qualcos'altro, ho deciso di raccontarvi una bella storia vera.

Dovete sapere che sono una Sonara dalle elementari, ma mentre io mi sono trasferita a Milano per studiare e cercare la realizzazione in fondo a un bicchiere di Black Russian, la PlayStation è rimasta lì dove Babbo Natale ha deciso di portarla: a casa dei miei.

Un po' perché da buona fuorisede squattrinata non ho una televisione, un po' perché quel gran giocherellone del mio papà si arroga il diritto di poterci giocare quando meglio crede (ma la scusa ufficiale è che "poi a Milano ti distrai dallo studio e non sia mai che ciò accada").

Così per un motivo o per l'altro la console è sempre rimasta qui, in mezzo ai prati, fra i cinghiali che scelgono la notte per invadere l'orticello e le nevicate invernali che tolgono l'acqua calda per un po'. Qui, in questo ameno luogo bucolico in cui si può vivere la fantastica esperienza di essere svegliati alle cinque del mattino da un popoloso stormo variegato di pennuti cinguettanti, che tu lo voglia o no.

Fortuna che qui, sorprendentemente, arriva la fibra. Tant'è che quando gli omini della TIM sono venuti a farci l'allacciamento, eravamo parecchio scettici e non li abbiamo mollati un secondo, con le stesse espressioni sorprese che probabilmente ebbero i cavernicoli quando uno di loro sventolò il primo ramoscello fiammeggiante.

Tutto questo per dirvi che ora, finalmente, stiamo riscoprendo i kolossal videoludici di qualche tempo fa.

Tema: il mio papà.

Dico "stiamo" e non "sto" perché il sopra citato genitore giocherellone, di fatto, in mia assenza si guarda bene dall'accendere la console. Considerate che lui lavora tutto il giorno, tutti i giorni, tranne qualche domenica al mese (nemmeno tutte). Fa il capo meccanico in una cartiera, il signorino, ossia è quell'omino un po' burbero che coordina la riparazione dei macchinari pensati per riciclare la carta e trasformarla in... beh, altra carta, ma più spessa e meno bianca.

Se dovessi paragonarlo a un abitante di Paperopoli, sarei indecisa fra Archimede, Paperino e Paperoga: è geniale e stravagante, un po' sfortunato, ma signoramia, la tecnologia è proprio il suo tallone d'Achille. È bravo e si impegna tantissimo eh, infatti ha un tablet e con quello ha imparato ad andare su YouTube per cercarsi i tutorial su come trasformare l'orto biologico in un orto bionico, come scacciare educatamente tutte le bestie del creato che pasteggiano con le sue coltivazioni, come prevenire la vecchiaia con intrugli a base di aloe, miele e curcuma ma, soprattutto, come sconfiggere il manticerio incendiario che si trova nel calderone Sigma di Horizon Zero Dawn.

Perché se c'è una cosa che dovete sapere del mio papà è che quando si fissa su qualcosa non la molla finché non l'ha conclusa. E adesso, care personcine che state leggendo, si è fissato con i videogiochi.

Homerule

Lui è uno di quelli che non ha mai smesso di lavorare, perché lo smartworking sarà anche una figata ma aggiustare le macchine in differita è abbastanza impossibile. Siccome con quella carta riciclata ci fanno l'anima dei rotoli di carta igienica e un sacco di altre cose meno esoteriche ma altrettanto utili, allora lui, anche oggi, anche stasera, così come l'altro ieri e domani, è al lavoro. Tuttavia, quando finalmente rincasa, dopo che ha fatto i suoi esercizi ginnici contro il mal di schiena, dopo aver cenato ed essersi aggiornato sul mondo da radio, tablet e tv, se non crolla addormentato, gioca con me.

Per giocare io e lui abbiamo un modo tutto nostro: dai tempi della PlayStation 2 abbiamo sempre avuto un solo joypad e per tanto abbiamo sempre giocato in single player. Forse un po' per abitudine, forse un po' per genetica, o forse è semplice casualità, abbiamo sempre apprezzato lo stesso genere: deve esserci un'avventura "avventurosa", con combattimenti intriganti ma non troppo difficili, "l'omino lo devi vedere, che se no come fai a capire che ti attaccano alle spalle" (che è il modo di papà per dire che se un gioco non è in terza persona non lo vogliamo), la storia deve coinvolgerci in qualche modo e se la grafica è esteticamente piacente siamo entrambi più contenti. Poi lui apprezza armi le armi da fuoco, io sono più un tank umano che carica i nemici e alterna pugni e spade finché può.

La regola del single player in due è molto semplice: quando muoio io, tocca a te.

Che quando ero piccina si traduceva in lunghe partite portate avanti da lui, alternate da qualche turno bonus concesso alla sottoscritta dalla paterna benevolenza. Ai tempi delle elementari ci siamo giocati tutti i Rachet and Clank: qualcuno prestato da amici e cugini, qualcun altro portato da Babbo Natale, qualcuno come premio per una pagella particolarmente ricca di elogi (bei tempi le elementari). Poi sono arrivati gli anni del Gameboy, del Nintendo, di Zelda e del Professor Layton, ma a papà gli schermi piccoli non sono mai piaciuti e per un bel po' la nostra squadra si è sciolta.

Passati gli anni del liceo, con tutti gli screzi che hanno portato, è arrivato il tempo dell'università che mi ha vista finire in un'altra città, grande metropoli, non raggiungibile se non con il treno (perché la famiglia di camionisti è quella di mamma, papà e i suoi non sono mai stati una stirpe di grandi piloti: le strade non conosciute, rimarranno ignote probabilmente per sempre).

Siccome tornavo solo il week end, e spesso nemmeno tutti i week end, Babbo Natale ha deciso di rendere migliori i ritorni al nido dotandolo di una mirabolante PlayStation 4 Pro, con la tv in 4k (che c'era già, perché fra le sue ossessioni papà vanta quella di voler sempre il miglior apparato audiovisivo possibile) e il gioco di Spiderman (che è il mio supereroe preferito da sempre ma Tom Holland (<3) è sicuramente una ragione in più).

Squadra che vince non si cambia

 

Orbene: tra una penzolata e l'altra fra i palazzi di New York ci siamo ritrovati, di nuovo, a giocare insieme. Penso sia stato un po' come ritrovare quell'amico che non vedi da tempo: ovviamente è cambiato qualcosa, ma l'affinità elettiva che vi ha reso una buona squadra tempo addietro, non se ne è mai andata. Così, senza doverlo nemmeno dire, morta io, toccava a lui. Questo idillio ha avuto vita brevissima perché il signor papà si annoia a penzolare in giro e quindi Spiderman insieme anche no, ma per fortuna nel corso degli anni erano uscite tante meraviglie da giocare e non restava che metterci sotto.

Il primo Uncharted ci ha colpiti: azione, avventura, armi da fuoco, terza persona e storia coinvolgente. Esattamente il nostro genere, quindi ci siamo messi sotto con la remastered della trilogia e il secondo ci ha lasciati a bocca spalancata. Una storia davvero emozionante, con paesaggi verdeggianti e ricchi di rovine di civiltà antiche, città segrete, nemici avari e creature sconosciute. Stavamo per iniziare il terzo quando ci siamo imbattuti in Ratchet & Clank, il gioco del 2016 che ci ha riportati alla nostra vecchia squadra.

Per chi non l'avesse mai giocato, il titolo per la PS4 riprende alcune dinamiche, armi e personaggi delle serie uscite per PS1, 2 e 3, fondendone insieme molti elementi e aggiungendone di nuovi. Non è un remake ma non so quanto lo si possa definire un gioco nuovo al 100%; comunque, da amanti dei vecchi titoli, l'abbiamo platinato senza problemi.

Poi però sono arrivate le due botte che ci hanno resi i due nerdacci infognati che siamo ora.

Father and daughter

Il primo dei due è The Last of Us, un rpg fra gli zombie in cui Joel, un uomo un po' burbero al quale viene uccisa l'unica figlia all'inizio della storia, si ritrova a scortare Ellie, una ragazzina tenace e un po' ribelle, "dal punto A al punto B". Di fatto questo è: un viaggio da una città abbandonata a un ospedale corazzato con la speranza di trovare una cura. Durante il tragitto i due ne affrontano di ogni, dai molteplici attacchi di non morti, alle fughe dai sopravvissuti che, in mancanza d'altro, si sono dati al cannibalismo. Giocare a un titolo "padre e figlia", con mio padre, con il nostro modo di giocare, ci ha permesso di instaurare un legame che fino a un paio di anni fa non mi sarei mai immaginata.

Papà è sempre stato un uomo burbero e restio al mostrare emozioni, solo quando giocavamo insieme riusciva a lasciarsi andare un po'. Non gliene ho mai fatta una colpa, sia chiaro, ma questa specie di corazza che ha sempre indossato mi ha portato a maturare una visione un po' distorta di lui. Visione che, strano a dirsi, i videogiochi hanno demolito completamente, mostrandomi un papà completamente differente, molto più amichevole e gentile, al quale mi sono accorta di essere attaccatissima. A mostrarmi questo "nuovo papà" non è soltanto il gioco in sè, o il modo in cui gioca, ma i commenti che facciamo delle scene.

I videogiochi hanno demolito completamente l'idea che avevo di mio padre, mostrandomi un uomo completamente differente

Abbiamo addirittura discusso per il finale di The Last of Us, perché a Ellie deve succedere una cosa, che Joel impedisce, e questo impedimento ha lasciato papà rasserenato e me tremendamente infastidita. Così è partito tutto un dibattito ideologico (in redazione ne sappiamo qualcosa) che sembrava quasi un confronto costruttivo e non un discorso paterno in cui lui mi spiega qualcosa e io ascolto e apprendo. Questo, che probabilmente per molti è la normalità, per me è un fatto molto insolito che mi ha dato la possibilità di sentirmi realmente ascoltata.

Maturare delle opinioni e poterle sostenere, con osservazioni e ragionamenti, con i propri genitori è una delle cose più edificanti che mi siano mai capitate. Forse per questo, quando abbiamo finito il gioco, ci siamo commossi un pochino, o forse per paura di non trovare qualcosa di simile (anche perché nel mentre è scoppiata la pandemia e l'uscita di The Last of Us 2 è stata posticipata).

Poi però è successo che mi hanno regalato Horizon Zero Dawn e che papà ci si è infognato così tanto che adesso quando i cerbiatti vanno a mangiare i germogli del gelso che sta nell'orto, mi dice che "i cervaviti ci hanno attaccati ancora".

Aloy una di noi

Breve riassunto per chi non conosce il titolo: è la storia di Aloy, una piccola infante trovata dentro una montagna, che viene allevata da Rost, un emarginato dal quale tutti stanno alla larga. Rost cresce Aloy come la figlia che non ha mai avuto (titolo padre e figlia, here we go again) ma per un motivo su cui sorvolo, da un certo punto in poi Aloy affronta da sola il mondo oltre le montagne. Quel mondo, quello che il popolo dei Nora (gli emarginanti) ignorano è ricchissimo di varietà: ci sono altre popolazioni, alcune in guerra fra di loro, altre alleate; ci sono tecnologie differenti e una fauna completamente diversa.

A questo proposito, oltre a tacchini, lepri, volpi e chinghiali, in Horizon Zero Dawn troviamo molte bestie artificiali create attraverso macchinari complessi. Alcune sono specie che ricordano gli "animali veri" (i celermorsi sono mecha coccodrilli, i cervaviti dei cerbiatti di acciaio, gli smerigli sono avvoltoi inossidabili, e via dicendo) mentre altre sono bestie inventate di sana pianta (come il sopracitato manticerio incendiario, che è tipo un elefante sparafuoco ma con la faccia di un tapiro, più o meno).

Fuori da Corona della Madre (che è dove si trova il villaggio dei Nora) Aloy trova mercanti che vendono armi nuove e potenziabili; ruscelli, deserti, ghiacci, giungle e città arroccate e ogni ambiente offre due ingenti aspetti contenutistici.

Il primo è legato alla storia principale: tutto il gioco gira intorno al mistero che ha portato la civiltà del passato (ossia la nostra) all'estinzione, per cui man mano che si susseguono le missioni, sia le principali che le secondarie, si aggiungono tasselli a un puzzle carico di dettagli emozionanti, che raggiungono il loro culmine al termine del gioco.

Il secondo, invece, è metaforico: la protagonista, dopo aver ricevuto un addestramento rigoroso, abbandona il nido montano per avventurarsi ai confini del mondo, là dove c'è una vita ricca d'azione e coinvolgimenti che ben si distaccano dalla tranquillità rurale nella quale è cresciuta (entro i limiti dell'emarginazione, s'intende). Per questo motivo, quando i Nora dovranno e sceglieranno di uscire da Corona della Madre per confluire nell'epica battaglia conclusiva, lo faranno soprattutto grazie al discorso di Aloy, basato sulla necessità dell'oltrepassare i confini.

Quando coloro che l'avevano emarginata comprendono la reale natura e tenacia della ragazza, questa s'infervora tantissimo e guardandoli negli occhi urla loro: "Non sono la Prescelta! Io non sono vostra! C'è un mondo intero oltre i vostri confini, ci sono altre tribù di gente buona quanto voi! E sono tutte in pericolo! È un mondo per cui combattere. Non solo qui. Ovunque." e davanti a queste parole io ho fatto un salto sul divano e al signor padre burbero sono luccicati gli occhi (anche se lo negherà probabilmente per sempre).

In quel momento, forse più che in altri, ho capito quanto papà mi abbia insegnato, invitandomi gentilmente ad andare a Milano. Di fatto io non è che fossi troppo desiderosa di diventare fuorisede, di allontanarmi dalla campagna e ritrovarmi in una città che ha dei condomini talmente grossi, da permettermi di usare il mio paesello come unità di misura: "Quanto è popoloso quel palazzo?" - "Boh saranno almeno due Cavona e mezza, forse anche tre". Eppure ora, che sono quarantenata proprio in quei prati che non volevo abbandonare, ho nostalgia della frenesia.

Una morale inattesa

Fortuna che c'è papà, che quando torna da sfiancanti giornate di lavoro, quando ha finito la sua routine anti invecchiamento, inizia a chiedermi dove fossi arrivata la sera prima e quanto fossi andata avanti "che a un certo punto ho iniziato a riposare gli occhi e devo aver perso qualche pezzo" (lui non si addormenta, al massimo riposa gli occhi). Poi se ne esce con frasi e commenti tipo "hai visto che i cheratauri hanno attaccato la serra?" e io lo devo capire da me, che i cinghiali si sono avvicinati troppo al suo orticello bello.

Oppure mi racconta i sogni che fa di notte, in cui ha combattuto contro i banditi e vissuto altre mirabolanti avventure, tutte con la stessa morale: "Quel gioco lì non va bene prima di dormire. Dopo che sei andata a letto ho giocato ancora un pochino e a un certo punto erano le due del mattino. Stasera alle undici smetto. [attimo di silenzio] Va beh dai, facciamo undici e mezzo."  e poi comunque tira la una senza troppa fatica.

Di questa sensazione voglio ricordarmene bene anche quando sarà tutto finito

Mentre scrivo è lunedì sera, è quasi ora di andare a giocare, ma papà ha chiamato dalla cartiera per avvisare che farà tardi e che non dobbiamo aspettarlo. È una cosa alla quale sono abituata, ha sempre fatto molti straordinari e col fatto che un tempo era molto più burbero, non mi dispiaceva così tanto. Oggi invece, quando mi ha detto quella stessa cosa banalissima alla quale sono abituata da sempre, mi sono venuti gli occhi lucidi. Non so se è l'effetto quarantena o questo nuovo fare squadra, probabilmente entrambe le cose, ma di una cosa sono certa: di questa sensazione voglio ricordarmene bene anche quando sarà tutto finito (perché prima o poi finirà).

Quando tornerò a Milano, quando ricominceranno i week end nei pub per cui deciderò di non tornare a casa a giocare alla Play, saprò che non starò tornando a casa a giocare con papà e forse le cose cambieranno un pochino. Perché una delle uniche cose belle di questo periodaccio è sicuramente aver potuto conoscere meglio quel signore scorbutico che mi ha cresciuta, scoprendo che in realtà, sotto sotto, tanto scorbutico non è. Penso di non avergli mai voluto così tanto bene come ora, ed ecco perché vi dico: giocate coi vostri figli.

Padri e videogiochi. Once more, with feeling

Conclusione

Anche se sono single player, anche se non ci capite di tecnologia, anche se vi sembra che ci sia un muro fra voi e i vostri figli, giocate con loro. Anziché additare i videogiochi come quel male assoluto che li allontana, trasformateli in un elemento che vi possa avvicinare. Conoscete meglio quelle creature che avete messo al mondo (o che per un motivo o per l'altro vi siete ritrovati ad allevare) e permettete a loro di conoscer meglio voi stessi.

Di fatto, ora, conoscerci meglio è forse l'unica cosa che possiamo fare bene, e se i videogiochi possono aiutarci, beh, ben venga! Lo stesso discorso potremmo estenderlo per qualunque altro ambito, dai giochi di ruolo e da tavolo, alla lettura o a qualunque altra attività sentiate vostra. Analogamente, cari figli quarantenati coi genitori che state leggendo le mie parole, lo stesso vale per voi: magari un genitore apparentemente restio potrebbe risultare sorprendentemente collaborativo, qualora gli chiedeste di aiutarvi a finire un livello o, semplicemente, di giocare un po' con voi.

Anche se sono single player, anche se non ci capite di tecnologia, anche se vi sembra che ci sia un muro fra voi e i vostri figli, giocate con loro

E comunque siccome ci è presa la scimmia, abbiamo comprato  il DLC Horizon Zero Dawn: The Frozen Wilds e ora ce ne andiamo in giro per i ghiacci polari con una tutina nuova tutta pelosetta, scelta appositamente dal sopracitato padre burbero, "Perché se no Aloy si lamenta che ha freddo, poverina." Magari un giorno gli dirò che i PG non sentono freddo, che sono solo programmati per dire certe cose in certi ambienti, ma forse, finché a portarmi i regali è ancora Babbo Natale, le grandi rivelazioni possono aspettare.

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