STAI LEGGENDO : Intervista a Marina Pierri: le Eroine delle serie tv possono cambiarci la vita

Intervista a Marina Pierri: le Eroine delle serie tv possono cambiarci la vita

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Marina Pierri ci parla di Eroine, il libro che insegna come leggere le serie tv attraverso il filtro del viaggio femminile.

La seritalità telelevisiva fa parte del nostro presente, del nostro quotidiano, ed è ormai uno degli strumenti di espressione artistica che meglio riesce a catturare l'essenza del nostro tempo. Una serie tv non è mai solo una serie tv, ma un riflesso della società che la produce e consuma. Può anche diventare un potente alleato per comprendere il mondo, l'umanità e la propria vita, come spiega Marina Pierri nel suo Eroine, edito da Tlon e uscito nel settembre 2020. Eroine non è un manuale, o una raccolta di saggi, è un libro che va letto nella sua interezza, va intrapreso come un viaggio. Il premio è un continuo bagno di stimoli, una cassetta degli attrezzi filosofica che si applica perfettamente a tutti i personaggi femminili dell'audiovisivo, ma anche alle vite di coloro che leggono.

Abbiamo fatto qualche domanda all'autrice, toccando alcuni dei temi più interessanti di Eroine, che non facciamo che consigliare molto caldamente.

Le serie tv sembrano ormai il terreno più fertile per raccontare i cambiamenti sociali e lo spostamento delle dinamiche di potere, è lì che vediamo una varietà sempre più ampia di corpi e di esperienze diverse. Cosa rende il contesto seriale così adatto?

Dai tempi di Homo Sapiens l’arte è stata usata per dare senso alla realtà, come riflesso della società e della collettività. In altre parole, l’arte è specchio della mente-alveare, e amo molto questa idea secondo cui i pensieri collettivi siano una sorta di favo, al quale ognunə aggiunge qualcosa. Con la rivoluzione digitale tutto questo si è amplificato, ma da sempre le espressioni artistiche hanno rappresentato le istanze profonde dell’essere umano in un preciso momento storico, un’espressione dello zeitgeist. Proprio dal serbatoio infinito dell’inconscio collettivo vengono di volta in volta pescati gli archetipi e le istanze che funzionano con il sentire condiviso in un dato momento. Adesso il veicolo più fruibile, più popolare, per le storie sono appunto le serie tv, sicuramente anche perché il mercato ci ha portato in quella direzione.

Oggi una grossa parte del sistema dell’intrattenimento poggia sulla serialità televisiva come straordinario veicolo di racconto della contemporaneità, quindi le serie hanno acquisito un’importanza capitale e ci sono due caratteristiche che le rendono un osservatorio privilegiato: innanzitutto, la longevità, anche ben prima dello streaming, pensiamo a Grey’s Anatomy o Doctor Who, con le serie si è potuto coltivare un rapporto di minore finitezza rispetto agli altri media; e poi la pervasività, perché grazie a internet è piuttosto semplice accedere alle storie per la tv, nel bene e nel male se pensiamo al fenomeno della pirateria, con costi di solito abbastanza contenuti e convenienti. Chiaramente parliamo sempre di situazioni di privilegio, ma i numeri parlano di un numero molto alto di fruitorə per queste storie.

Qualcosa di così importante e così accessibile entra a far parte di quella che chiamo l’enciclopedia perennemente accessibile che caratterizza la nostra epoca, e che stravolge anche l’industria televisiva, ora più porosa che mai. Più aumenta il numero delle storie, più è probabile che anche categorie marginalizzate e voci tradizionalmente silenziate riescano a trovare il proprio spazio nel dialogo collettivo. Non si può tuttavia prescindere, neanche in questo caso, da considerazioni di ordine economico: i varchi si aprono non perché l’industria sia più «buona», ma perché il parco storie va rigenerato.

Fleabag

Che differenza c'è tra stereotipo e archetipo?

Un archetipo non è mai un archetipo. Erich Neumann parla di gruppi archetipici, proprio perché l’archetipo è sempre plurale. Usiamo un esempio che mi riguarda: il fatto che le persone del sud siano pigre. Questo archetipo è composto di tante cose diverse, di orari differenti nell’apertura dei negozi, di cibo differente, di abitudini, tradizioni e assetto sociale differenti, ma spesso se ne trae soltanto una conclusione, ovvero che le persone del sud in sé sono pigre. Se questo unico aspetto viene ripetuto costantemente, l’archetipo finisce per essere appiattito e crea uno stereotipo, un’operazione di sottrazione dalla naturale complessità archetipica.

Eroine è scritto con un occhio molto sensibile, personale, con un approccio che mi ha riportato per opposizione al concetto di “donna forte”, come discusso anche da Brit Marling in “I Don’t Want to Be the Strong Female Lead” qualche mese fa.

Lo definirei un approccio vulnerabile, perché credo molto nella vulnerabilità, che vediamo per esempio come grande tema anche nella quarta stagione di The Crown. Nascendo donna, ti viene conferita magicamente una valigia che rappresenta un set di valori da dover incarnare. Se non lo fai sei percepita come deviante sanzionabile, come un pericolo per la società basata sul binarismo di genere. Una valigia simile è data infatti anche agli uomini, ma contiene anche il privilegio dell’esplorazione, dell’avventura e del viaggio, mentre quella della donna tenderà a imporre la stanzialità. Pensiamo a Mulan. Per andare a imprimere un marchio sul mondo abbiamo dovuto travestirci da uomini e invertire le valige, ma questo scambio ha avuto un grosso costo. Innanzitutto il costo dell’Unica, ovvero la necessità di essere la più brava, la migliore, quella coccolata dagli uomini, quella a cui si danno pacche sulle spalle, colei a cui è offerto il privilegio di salire.

Questo può accadere per una donna che rispetta particolarmente bene i dettami del bagaglio patriarcale, oppure per una che invece decide di adottare il set maschile, rinunciando all’emotività associata al femminile. Una delle più grandi conquiste sarà quindi la riappropriazione dei sentimenti, e la riappropriazione dello sbaglio, del fallimento, della vulnerabilità. Non è scritto da nessuna parte che una donna debba avere successo nel senso patriarcale del termine, in ascesa, scalando la montagna, da sola. Altro esempio, The Queen’s Gambit: il patriarcato non prevede che si tenda la mano a persone che ci somigliano, perché a farcela sarà una soltanto. Oltre a liberarci del bagaglio dell’unica, è quindi importantissimo liberarsi di quello maschile, perché per fare la vita che io desidero, inevitabilmente ritagliata in un mondo patriarcale e capitalista, non voglio più indossare abiti che non sono i miei. Voglio essere me stessa ed emergere dal binarismo di genere considerandolo quello che è, una fandonia.

Mrs Maisel

Questo appiattimento dell’esperienza femminile si ripercuote per altro sull’intera catena, dai personaggi, alle autrici, fino alla critica. Da dove può partire il cambiamento verso la riappropriazione?

Secondo me per innescare questo tipo di cambiamento è necessario che a più persone venga conferito il potere della rappresentazione. Penso che debba partire essenzialmente dall’industria, anche se la critica militante ha senza dubbio un ruolo importante. Il percorso migliore potrebbe prevedere la creazione di corridoi di accesso, per esempio non vedo niente di male nella possibilità di un inclusion rider, di una legislazione apposita per avere una certa percentuale di persone sistematicamente cancellate dalle narrative del passato. Un’altra soluzione sarebbe continuare a lavorare sulla consapevolezza, a promuovere autori come Ryan Murphy, Jim Parsons, Misha Green e Brit Marling, che già sono riusciti a entrare nell’industria con idee progressiste e che possono quindi spingere al cambiamento dall’interno.

L’importante sarebbe permettere alle storie di essere raccontate da coloro che sono rappresentati nelle storie stesse, perché quando succede riescono a perforare l’inconscio collettivo. Penso per esempio a We Are Who We Are, una serie sui ragazzi costruita da un uomo di mezza età, Luca Guadagnino, un grande autore con un occhio importantissimo, che però ha creato uno show che manca di urgenza. Se ci fossero state persone che avevano un rapporto più forte con l’adolescenza probabilmente sarebbe stata una cosa diversa, come è successo per Euphoria. Neanche Sam Levinson è più un adolescente, ma aveva bisogno di raccontare quella storia perché ne era rappresentato in quanto ex tossicodipendente, facendo poi un salto in avanti trasportandosi nel corpo di una persona (potenzialmente) nonbinary. In ogni caso non c’è prescrittività nelle storie, ci sono tanti modi per costruirle ma anche dei diritti non negoziabili: il diritto di raccontare la propria storia è uno di questi.

Tornando a parlare di The Queen’s Gambit, una storia di ascesa costante, si nota perfettamente come il fallimento sia un elemento superfluo nelle narrazioni femminili, addirittura dannoso, mentre in Eroine si è guadagnato un ampio e rispettoso spazio. Perché c’è tanto disgusto nei confronti dell’errore?

Perché il fallimento è gendered. Se il fallimento è fatto da un uomo è una grande fonte di apprendimento, se il fallimento invece tocca una donna potrebbe aver fatto sfumare l’unica occasione che avrà nella vita. Esiste infatti una differenza di privilegio, che ha un peso diverso sul viaggio maschile e su quello femminile. Già la sola opportunità di viaggiare rappresenta in maniera nitida il ruolo del privilegio nei due casi. Quando una donna fallisce sente tutto il peso dello sforzo fatto per arrivare a quel punto, e non è detto che abbia una seconda possibilità, mentre per l’uomo provare e fallire è una costante normalizzata dell’esplorazione. Una donna deve affrontare un doppio set di difficoltà, quelle esteriori e quelle interiori, quindi quando sopraggiunge il fallimento c’è più probabilità che decida di gettare la spugna. Penso sia molto importante dare alle donne un’educazione al no, al rifiuto, perché più grandi sono le cose che vogliono fare più sono alte le barriere. Devono ricevere l’educazione a chiedere, farsi avanti e proporsi, comprendendo che il no, come per gli uomini, è funzionale alla fioritura personale e all’apprendimento.

L’accettazione del fallimento ci porta al fulcro del viaggio dell’eroina, rappresentato dall’archetipo della Distruttrice, una tappa che rivela una dinamica triplice, vita-morte-vita, molto simile a quella tentativo-fallimento-tentativo che vorremmo vedere sempre di più per le donne. Quali sono gli aspetti fondamentali della Distruttrice?

La Distruttrice per l’eroina ha un duplice carattere, esteriore e interiore. Quello che succede con la Distruttrice è la perdita di grandi punti di riferimento nel mondo esteriore, che lascia con un senso di perdita. Per me si tratta del centro nevralgico del viaggio, ed è proprio quello che lo rende differente dal percorso maschile, perché questa discesa, il momento in cui secondo Murdock e le altre teoriche tutto è perduto, è un momento funzionale al silenzio. L’eroina ha molto bisogno di silenzio, perché ha vissuto tutta la vita immersa nelle voci di chi le diceva come si doveva vestire, quale lavoro doveva fare, quale uomo doveva sposare, che doveva fare figli e che doveva indossare gli abiti presenti nella sua valigia. Quel momento di silenzio è estremamente propedeutico per la riscoperta dei propri desideri.

Ciò che è veramente importante è ascoltare se stesse per capire quali siano le proprie fonti di gioia, perché la gioia è indispensabile alla Creatrice, ed è fondamentale che non derivi dal rispetto dei criteri patriarcali, ma dalla consapevolezza della propria identità. Siamo infatti troppo spesso educate a soddisfare i bisogni altrui e non i nostri, perché quando lo facciamo siamo chiamate egoiste, narcisiste, mamme terribili, donne pessime, puttane. La Distruttrice quindi porta a spogliarsi della propria vecchia pelle per costruirne una nuova, si tratta di un percorso oneroso che dona delle grandissime ricompense e permette una vita autodeterminata fuori dalle gabbie. È molto importante anche come parliamo delle donne che fanno questo percorso. Spesso non sono anti-eroine, ma sono eroine vere e proprie. Semplicemente sono donne che, pagando un prezzo, hanno deciso di diventare la persona che sentivano di essere.

Quali benefici porta un'analisi femminista dei personaggi delle serie tv? Non solo nel caso dei viaggi femminili, ovviamente, poiché la perdita delle sovrastrutture patriarcali portano più libertà sia alle donne che agli uomini.

Il viaggio dell’eroina infatti si chiama così perché rappresenta un punto di vista differente, ma si applica perfettamente - per esempio - anche alla comunità LGBTQIA+, dato che il percorso come lo intendo io in Eroine ha a che fare con il privilegio socioculturale. Quindi chiunque si senta, o sia, marginalizzato dalla società è suscettibile di compiere questa rottura, liberandosi di una serie di terrificanti condizionamenti. C’è anche da dire che esistono diversi femminismi con i quali analizzare le serie tv, e trovo che il femminismo intersezionale sia forse quello che porta maggiore beneficio, perché non tiene conto soltanto del genere, ma considera anche il privilegio e l’oppressione, riconoscendo una meravigliosa pluralità di esperienze che vorremmo celebrare sempre di più.

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