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Il mio lavoro non è ancora finito, il nuovo libro di Thomas Ligotti, maestro dell'horrror

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Un mix unico di bizzarro, fantastico e orrore, superando gli antichi maestri del conturbante come Poe e Lovecraft, Ligotti condanna l'essere umano ad una realtà ben più spaventosa. Quella più comune e ordinaria. Con Il mio lavoro non è ancora finito il Saggiatore va a completare il mosaico della bibliografia Ligottiana

Ci sono due modi per affrontare l’ultima pubblicazione in italiano di Thomas Ligotti e per comprenderli bisogna prima fare un passo indietro.

Di cosa parliamo esattamente? Il Mio Lavoro non è ancora Finito, edito da Il Saggiatore, era uno dei pochi tasselli mancanti nella bibliografia di Ligotti tradotta in italiano. La scelta della casa editrice è semplicemente encomiabile. Portare titoli così difficili in Italia e farlo con traduzioni all’altezza è un’operazione che merita il plauso di tutti gli amanti della letteratura contemporanea. Colmata questa lacuna mancano le briciole - The Spectral Link è un a doppia novella molto intrigante - e poi avremo letto tutto il possibile di questo autore dell’incubo.

Ma chi è esattamente Thomas Ligotti? Ce ne sarebbero di pagine da dedicare a questo autore oscuro, ma se non lo conoscete vi basti sapere che è forse la miglior penna contemporanea del genere weird, nel suo caso . C’è chi si spertica da anni a trovare collegamenti tra i più disparati - addirittura con filosofi, pur amati da Ligotti stesso, come Nietzsche o Zapffe - o talvolta più scontati - come Poe o Lovecraft - e in ogni caso appaiono lontanissimi dalla realtà. Vero, Ligotti è uno scrittore che si più ricollegare al concetto di orrore cosmico che alcuni filosofi hanno affrontato e che molti scrittori, Lovecraft su tutti, hanno saputo esprimere in opere letterarie. Eppure il suo stile e la sua opera sono unici, come poi sono sempre le opere dei grandi della letteratura. Il perché è semplice. Questo autore è un dotto, prima di tutto, e conosce benissimo la materia letteraria: ha letto gli imprescindibili classici ed è andato a scavare anche tra gli autori più alti e assieme bizzarri della storia della letteratura. Ha una prosa bella, complessa e rara, a tratti barocca ma mai manierista.

In seconda battuta, e in questo genere letterario direi una caratteristica molto importante, è un essere umano molto problematico. Agorafobico, odiatore dell’umanità a partire da sé stesso, preda di esaurimenti nervosi e attacchi di panico, incubi neri e claustrofobici, Ligotti quando scrive apre la sua anima al lettore. E questo non lo rende facile, accessibile o gradevole. La sincerità paga, perché ci ha regalato, nelle sue raccolte di racconti soprattutto, momenti di sublime sconvolgimento. Nella sua opera convive il degrado urbano e quello umano; c’è l’assurdo di Beckett e la ricchezza metaforica - privata però dei colori - di Bruno Schulz.  Parliamo di una penna che, come nessuno oggi, riesce a parlare di dolore, assurdità dell’esistenza e orrore pur senza spargere sangue o avvalersi della presenza di creature mostruose.

Torniamo al punto di partenza: come approcciarsi allora a Il Mio Lavoro non è Ancora Finito? Possiamo scorporarlo dall’Opera di Ligotti e godere di un bel libro horror all’americana nel senso classico del termine (quindi con tanto sangue, colpi di scena, una sua morale abbastanza inquadrata): ne rimarremo innamorati. Oppure possiamo analizzarlo al cospetto di tutto ciò che Ligotti ha scritto: in questo caso, se lo abbiamo amato sinora, rimarremo forse un po’ insoddisfatti. Il perché è semplice: in questo libro, la sua novella più lunga, vengono meno quasi tutti gli elementi che hanno caratterizzato le peculiarità dello scrittore. Il linguaggio è sempre ben oltre la media - parlando di horror - e si stacca dal mare magnum di autori che mangiano la sua polvere. La prosa articolata eppure scorrevole ci guida in maniera fluida lungo una trama tutt’altro che scontata. Sembra quasi scritta per essere trasposta su pellicola, il che nel caso di Ligotti è un male perché ha sempre saputo raccontare l’irrealizzabile. Poi affiorano una serie di espressioni, soprattutto nei dialoghi, che non possono non far storcere il naso a chi conosce il Ligotti di Teatro Grottesco o di Nottuario, tanto per citarne due.

Frasi come “la pagherà cara” e simili, così poco ligottiane, così già masticate e in tutt’altro ambito. C’è un realismo molto marcato che mai avremmo letto nei suoi racconti e che toglie innegabilmente quel fascino oscuro alle parole dell’autore. La trama, che non ha senso svelare nei dettagli (un uomo viene licenziato e progetta la sua vendetta contro i capi aziendali), procede con ritmi alternati. A volte veloce e leggera, altre volte più cupa e profonda. Anche in questo caso i due registri non funzionano perfettamente perché lo stacco è forte e non ne giova il complesso. Se piacciono i momenti di azione, ci annoieranno le lunghe riflessioni pessimistiche; vicerversa vorremo scorrere velocemente le parti più “film americano” per gettarci nei meandri bui della mente di Ligotti.

La caratterizzazione dei personaggi è una delle qualità di Ligotti. Con poche pennellate, molto scure, Ligotti  delinea i tratti fondamentali dell'immaginario che ci vuole far intuire, lasciando ampio spazio alla fantasia del lettore  nell'elaborare tutto il resto. C’è molto non detto volutamente ed è gestito con maestria. C’è molto sangue, ma il risultato non è disturbante nel profondo come lo è nei suoi racconti dove invece non ci sono tracce ematiche. Lo sforzo di attualizzare la sua visione di orrore cosmico e trasporla in una storia ambientata in una fredda realtà aziendale è pura follia e Ligotti è forse l’unico a poter fare una cosa del genere senza risultare banale.

Dipende dai punti di vista: se amiamo un genere più diretto, troveremo di che divertirci; altrimenti dovremo accontentarci di godere di sprazzi della filosofia nichilista di Ligotti, senza quei sussulti geniali che si scavano nel nostro inconscio. Verrebbe da definirlo un Ligotti entry-level, tanto per usare una terminologia che alla luce della storia farebbe sorridere, forse, anche l’autore.

Il volume è arricchito da due appendici: un racconto breve - Ho un progetto speciale per questo mondo - e una serie di finti annunci pubblicitari aziendali per la ricerca di personale - La rete dell’incubo. Mentre l’ultima parte, La rete dell’incubo, risulta niente più che un divertissement, seppur originale come solo Ligotti potrebbe concepirli, il racconto breve è un vero gioiellino. In perfetto stile Ligotti - ci dimostra che la forma racconto è la sua dimensione ideale - regala dei brividi molto più tetri e misteriosi rispetto al corpus centrale del volume. Siamo sempre in un ambito aziendale, ma in questo caso lo scenario è tipico del Nostro con una città surreale, sospesa in una condizione climatica malsana e con una catena di eventi bizzarri che si susseguono. Il risultato è all’altezza dell’autore.

Il Mio Lavoro non è ancora Finito può essere considerato un esperimento - al lettore il giudizio personale sull’esito - che denota la magistrale unicità della penna di Ligotti. Non rappresenta l’apice dell’autore, tantomeno le sue peculiarità più spiccate ed estreme, ma si affaccia su lidi più accessibili e meno “malati”. Encomiabile lo sforzo dell’editore nel proporre questo autentico Maestro dell’incubo ai lettori italiani. Se oggi Ligotti gode in Italia di una sua credibilità, è merito de Il Saggiatore.

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