Il caso di Unity ci ricorda che le aziende non sono nostre amiche
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VideogiochiUnity è un diffuso strumento per creare videogiochi che ha fatto la classica mossa di molte aziende: diventare popolare e passare all'incasso. Una mossa che potrebbe cambiare completamente il settore e che ha le sue radici in una cultura tipica di Electronic Arts.
Per capire la questione Unity se non avete mai messo mano su un videogioco e non avete giustamente idea di come vengono fatti. Immaginate di voler fare musica o girare un film e che per farlo non basti comprare degli strumenti o una telecamera ma vi servano una serie di funzioni aggiuntive: un software di montaggio, qualcosa per gli effetti speciali o sonori.
Il software che vi permette di fare tutto questo è gratis se siete una band che suona in garage ma aumentano via via che diventate dei professionisti. Voi frequentate corsi per imparare a usare tutto ciò, magari siete pure dei professionisti che lo insegnano agli altri o sviluppate prodotti che funzionano in combinazione con queste funzioni aggiuntive.
Voi, che non siete scemi, pianificate l’eventuale costo di tutta la questione e per mettere in giro ciò che producete le piattaforme si prendono già una fetta del 30%.
Un bel giorno l’azienda che produce quegli strumenti aggiuntivi che sono fondamentali per farcela vi dice che, oltre una certa soglia, se qualcuno ha scaricato un vostro pezzo o il vostro film allora vuole altri soldi e li vuole da voi.
La cifra varia in base al vostro abbonamento e, paradossalmente, se il vostro è un account gratis vi costa di più. E se l’utente scarica la vostra opera su due dispositivi differenti i soldi chiesti son gli stessi.
Il vostro eventuale successo diventa quindi un costo. Il sistema che vi sembrava fondamentale sa di esserlo, sa di tenervi per le palle e intende spremerle un altro po’.
Nel frattempo, le persone che possiedono quel sistema, prima di annunciare queste nuove regole di monetizzazione, hanno venduto un po’ di azioni, forse consci del fatto che la cosa non sarebbe stata presa bene.
Ecco, con Unity è successo qualcosa di simile. E se pensi che tutto sommato sia una questione legata al mondo dello sviluppo, mondo di cui tutto sommato te ne frega poco, ti invito a ripensarci. Perché è sempre la stessa storia.
Unity e la Runtime Fee
Se non sapete di cosa sto parlando, Unity è un game enginge, un programma per sviluppare videogiochi anche molto complessi e decisamente diffuso, da anni, a tutti i livelli di esperienza. Si stima che quasi la metà dei videogiochi disponibili siano prodotti con Unity ed è alla base di titoli come Pokémon Go, Genshin Impact, CupHead, Hollow Knight, Hearthstone e così via.
In queste ore Unity ha dichiarato che dal 2024 imporrà agli sviluppatori una tassa che varia da uno a venti centesimi di dollaro al raggiungimento di determinate soglie di incassi o download.
E se un utente scarica lo stesso gioco su più piattaforme paghi comunque, se il tuo gioco viene scaricato, ma non genera profitto, magari perché è un free to play che le persone provano e mollano, paghi comunque.
La tassa, chiamata Runtime fee, è meno costosa per i piani di abbonamento a Unity che costano di più, quelli che di solito sono già obbligatori quando il tuo gioco supera il milione di dollari di incasso. L’obiettivo quindi è incentivare tutti quei giochi piccoli che improvvisamente fanno successo, tipo Vampire Survivors, a passare a piani più onerosi, spesso molto onerosi. Insomma, farti cacciare più soldi, in un modo o nell’altro. Ovviamente se sei un hobbysta o un indie piccolo che magari spera nel colpaccio.
Quelli già grossi e strutturati paradossalmente (o forse non è un paradosso) pagano di meno o riescono comunque ad ammortizzare meglio.
E questo vale non solo per i titoli che magari ha catalogo e che magari rischiano di ricevere un’impennata di download perché vengono scontati o inseriti, ad esempio, nel GamePass o altri sistemi che portano i giochi a essere scaricati e riscaricati più volte (pensate anche ai giochi mobile), ma anche per tutti i giochi nuovi o in uscita che di certo non avevano inserito nel business plan questa possibilità.
E per rendere il tutto ancora più losco, tempo Unity aveva dichiarato, in nome della trasparenza, di tenere traccia di tutte le modifiche ai termini di servizio su GitHub, Poi, qualche settimana fa, hanno cancellato alla chetichella l’archivio delle modifiche alla licenza d’uso per caricarne una nuova dove era sparita la clausola che permetteva di utilizzare vecchie versioni di Unity senza dover sottostare a eventuali aggiornamenti dei termini di servizio.
Dopo l’annuncio e la feroce polemica che si è scatenata, Unity ha precisato che non verranno conteggiate seconde installazioni sullo stesso dispositivo, non verranno conteggiati i bundle di beneficenza né le copie pirata e che in caso di situazioni tipo il GamePass dovrà pagare chi fornisce il servizio, quindi Microsoft.
E già posso immaginare gli avvocati di Microsoft che ridono. E questo senza che sia stato spiegato, se non con fumosi giri di parole, come sarà possibile fare distinguo, ad esempio con le copie pirata. Quindi forse c’è pure un problemino di privacy.
A volte può capitare che un aggiornamento del programma che usi ti bruci giorni di lavoro e a volte, per fortuna non spesso, succedono situazioni come questa.
Immaginate la situazione di tutti i giochi e gli studi che stavano iniziando a essere programmati su Unity, immaginate chi ci ha lavorato per anni, immaginate dove riconvertire tutta la vostra forza lavoro a un altro ambiente di sviluppo, mentre cercate di capire cosa voler fare con ciò che è già uscito.
Una situazione compromessa
E anche se Unity facesse marcia indietro, come sarà possibile fidarsi ancora di una piattaforma che ha dimostrato questa dose di malizia, calcolo spregiudicato e totale mancanza di rispetto per le persone che la utilizzano?
E quando dico che tutto sommato la questione Unity ci riguarda tutti lo dico perché lo schema, in qualche modo, è sempre lo stesso. Tutte le aziende hanno una fase di “luna di miele” in cui puntano a mostrare il loro lato migliore, collaborativo, a giocare addirittura in perdita.
“Ma sì, condividete la password con i vostri amici!”.
"Il nostro social sarà uno spazio in cui esprimervi!"
Poi, quando queste politiche gli hanno garantito l’ingresso nelle nostre vite, nelle nostre abitudini, nel nostro sistema di lavoro, si passa all’incasso. Perché i conti devono quadrare, gli azionisti vanno tranquillizzati, la crisi, la borsa, l’austerity, le pubblicità sempre più insistenti. Il mito della concorrenza azzerato da furbi monopoli. E qua non parliamo neppure di un "vezzo" (posto che il nostro relax e accrescimento culturale lo sia) come vedere film o serie tv, ma il lavoro di migliaia di persone.
E se ancora pensate che non vi riguardi, immaginate che tutti i vostri adorati giochi ritardino o vengano cancellati per colpa di questa situazione. “Ma i giochi non mi interessano!” beh la situazione è completamente diversa, ma gli scioperi nel mondo del cinema e nella serie tv non hanno radici molto differenti: si tratta sempre di capitalismo che pensa di avere diritto a tutto e non dover concedere niente, anzi, ti chiede pure di poter sfruttare la tua immagine per rimpiazzarti.
Ogni volta le aziende ci ricordano che non sono nostre amiche, anche quando già le paghiamo, anche quando teoricamente non avrebbe senso farci incazzare perché siamo quelli che le teniamo in vita. Pensate voi il livello di distacco dalla realtà che puoi avere se pensi che il modo migliore per far quadrare i bilanci sia tassare improvvisamente chi già ti paga, rovinandogli i piani.
Ma d’altronde alle redini di Unity c’è John Riccitiello, un personaggio famoso nel settore per la sua spregiudicatezza. E non lo dico per dire, parliamo di uno che quando lavorava a Electronic Arts aveva ipotizzato l’idea di far pagare le munizioni ai giocatori di Battlefield.
EDIT
Mentre finivo di impaginare Unity forse si è resa conto effettivamente della situazione che ha scatenato e ha fatto uscire un comunicato che vuol dire tutto e niente, scusandosi per il clamore (ma dai?) e sostenendo di essere "in ascolto", che è un modo con cui le aziende dicono che stanno leggendo i social mentre cercano di capire come spegnere le fiamme. Ma come ho detto, anche con un passo indietro credo che la situazione sia compromessa in modo irrimediabile per tanti sviluppatori.
EDIT2
C'è stato, come prevedibile, un secondo comunicato dove Unity ha fatto ulteriori passi indietro. Ovviamente è un bene ma purtroppo non cambia la natura delle cose. Le aziende proveranno sempre ad avere di più e dare di meno. E dobbiamo continuare a vigilare e far sentire la nostra voce, sempre.