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Hanselmann, Crisis Zone e l'estetica dell'autodistruzione

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Crisis Zone di Simon Hanselmann, edito in Italia da Coconino, è uno dei più interessanti volumi del comix underground del decennio.

Megg, Mogg and Owl” del fumettista australiano (originario della Tasmania) Simon Hanselmann è indubbiamente uno dei più interessanti fumetti undergrond emersi nell'ultimo decennio, e il recente "Crisis Zone", in uscita per Coconino Press, lo conferma pienamente, adeguando questa comicità sulfurea all'età del Coronavirus.

Interessante, innanzitutto, in Hanselmann è la cattiveria radicale del suo fumetto, che narra vicende deliranti ed estreme in un segno volutamente semplice e leggibile, e in una griglia regolarissima (usualmente un rettangolo 3X4 di vignette rigorosamente quadrate) ma acido nei colori così come nei temi delle sue storie.

 

 

Protagonisti sono una serie di freaks rappresentati come i mostri del cinema horror classico anni '30: il titolo ricalca, sarcasticamente, “Meg and Mog” (1972) di Helen Nicoll, una serie di storie illustrate per bambini su una strega e il suo famiglio, molto popolari in Australia, mentre questo è chiaramente invece un fumetto (disturbante) per un pubblico adulto, sia pure sempre con la stessa accoppiata di titolari di serie. I due protagonisti sono infatti Megg, una strega, e Mogg, il gatto suo famiglio. Owl, il terzo coinquilino, è un gufo antropomorfo, ma una quarta presenza fissa nella serie è quella di Lupo Mannaro Jones, il loro spacciatore. Completano il quadro una pletora di altre figure horrorifiche che coprono le restanti posizioni in questo circo dei freaks del mondo sottoproletario della droga.

 

Hanselmann

 

Il gioco, per certi versi, ricorda quello della Famiglia Addams: là però l'ironia derivava dalla compresenza di mostruosità e di una certa ortodossia borghese che generava un ossimorico paradosso. Nel fumetto di Hanselmann, invece, i freaks sono davvero “mostruosi”, rappresentando senza infingimenti una scena di marginali delle grandi metropoli, guidati solo dalle loro ossessioni per le sostanze psicotrope, il sesso e, in definitiva, un costante impulso di autodistruzione.

 

 

Tutto comincia con “Megahex” (2014), che raccoglie le avventure apparse online sul tumblr dell'autore, Girl Mountain (tutt'ora attivo e aggiornato), mentre in seguito le storie saranno ospitate, per un breve periodo, anche su Vice. La copertina, significativamente, presenta fin da subito un elemento inquietante, che diverrà sempre più presente nel tema della depressione della protagonista Megg, sotto la patina dell'umorismo nero: infatti, la giovane strega è rappresentata come l'Ofelia dell'Amleto di Shakespeare (e in particolare, secondo il celebre dipinto del preraffaelita Millais, a metà Ottocento), che cade nella follia e poi nel suicidio.

 

Hanselmann

 

Il meccanismo comico è incentrato sulle persecuzioni degli altri personaggi ai danni di Owl, che rappresenta quello più “integrato” al mondo normale (e che, tuttavia, non disdegna una escursione nel “wild side”). Per certi versi, si tratta di un meccanismo antico quanto i comics, e per molti versi ad essi precedente (se vogliamo un modello antico e nobile, vengono in mente le storie di Calandrino costantemente beffato da Bruno e Buffalmacco nel Decameron del Boccaccio, nel 1348).

 

 

 

La cosa che contraddistingue le storie di Hanselmann è proprio questa insistita ricerca di una disperata spinta alla distruzione fine a sé stessa, e tuttavia estremamente realistica. Cosa che contrasta perfettamente con lo stile volutamente “leggero” del disegno e l'innegabile efficacia dei meccanismi comici, che ci portano a ridere dei crudeli scherzi ai danni del Gufo (o delle altre terrificanti disavventure degli altri personaggi, nella loro ossessiva ricerca di sex&drugs) mantenendo però un certo realismo che non riduce mai del tutto la situazione al puro, disimpegnato cartoonesco.

 

 

Un po' il meccanismo, spinto agli eccessi più disturbanti, dell'Umorismo di Pirandello come teorizzato nel suo saggio del 1908 attorno all'esempio della “vecchia imbellettata”: un qualcosa che inizialmente ci fa ridere per il “sentimento del contrario”, ovvero la percezione di una situazione ridicola e assurda, ma che a un secondo livello ci fa riflettere sull'abisso esistenziale che si cela dietro al momento comico.

La cosa particolare dell'operazione di Hanselmann, che la rende probabilmente il prodotto più interessante emerso dall'underground, è la sua capacità di restare fedele a sé stesso anche una volta che la proposta giunge a un pubblico più vasto e quindi, nel caso dell'underground comix propriamente detto, come questo, inevitabilmente lontano dal “lettore ideale” (per citare Eco) delle origini, quello a cui Hanselmann pensa nelle prime strip pubblicate su Tumblr, probabilmente.

 

Hanselmann

 

Hanselmann infatti rivendica, e con orgoglio, un forte elemento autobiografico del terrificante milieu da lui descritto, in cui è cresciuto e in cui si è mosso, di fatto, fino al successo. Lo sguardo è quindi quello partecipe di chi quelle cose le ha viste, le ha vissute, e parla a un pubblico, inizialmente, almeno tangente a questa realtà. Nell'ottenere un indiscutibile successo planetario – tramite la prestigiosa edizione americana in Fantagraphics, e la successione traduzione dei suoi lavori in 13 lingue - Hanselmann si trova a proporre tutto questo ad una platea più vasta, inevitabilmente più “borghese”.

 

 

Un caso analogo e diversissimo a un tempo, qui in Italia, è quello di Zerocalcare, analogo per “scala trasformativa” (dalla nicchia dei centri sociali, laboratorio ricchissimo di fermenti sociali e culturali ma inevitabilmente minoritario, all'essere di fatto il maggiore autore fumettistico italiano attuale) ma per certi versi simmetrico nelle scelte autoriali. Zerocalcare infatti declina comunque una notevole fedeltà a sé stesso “negli obiettivi”, rispetto ai quali ha ragione nel rivendicare di non aver deviato. Ma, indubbiamente, rispetto ai primi fumetti militanti, emersi nella scena della contestazione post-Genova 2001, vi è la giusta consapevolezza di parlare a un pubblico più vasto. Alla graffiante provocazione si sostituisce quindi un discorso volto a convincere, mantenendo le proprie posizioni ma mostrando la consapevolezza di parlare al pubblico di una sinistra “borghese”, quella di Repubblica e dell'Espresso, per capirci (di cui ormai Zero è autore di punta) e addirittura un vasto pubblico “centrista” (col tentativo solo parzialmente riuscito del film live action, e con l'attuale serie Netflix, ancora più ambizioso). La modificazione del linguaggio nella fedeltà dei contenuti di Zero nasce del resto dalla matrice fortemente politica della sua origine underground, simmetrica ad Hanselmann anche nella scelta del punk “straight edge” che rifiuta per certi versi l'estetica dell'autodistruzione più nichilista che trionfa invece in Hanselmann.

 

Hanselmann

 

Hanselmann, invece, dà priorità alla pura rappresentazione di un mondo che conosce, e se migliora e si affina tecnicamente nel proseguire del suo percorso (pur mantenendo anche l'effetto “raw” delle prime strip, a cui aggiunge nel tempo, in modo ben dosato, una certa maggiore spettacolarità estetica) non modifica di una virgola l'elemento disturbante. Il suo successo, dunque, diventa inevitabilmente legato ad essere un artista chiamato ad “épater le bourgeois”, un lettore – come chi scrive – borghese che, se riflette onestamente sulle storie che lo divertono, deve ammettere che in quel mondo, se vi si addentrasse, avrebbe probabilmente il ruolo di vittima sacrificale di Gufo, che non riesce a resistere al fascino di Megg e del suo milieu come un Charlie Brown lisergico attratto dalla palla ovale che la subdola Lucy gli porge.

 

 

Il lettore, certo, si può immedesimare anche nel più vincente e divertente (a un primo livello...) Lupo Mannaro Jones: ma almeno che non si entri ed esca di prigione con pesante condanne su tutto l'arco legale, si deve riconoscere che è una proiezione tanto distante (e rovesciata, ovviamente) dell'impiegato anni '40 che si proiettava in Superman, ed era in verità Clark Kent senza poteri.

 

 

Se vogliamo, avviene un po' come nell'universo di Zanardi di Andrea Pazienza, dove il lettore medio deve riconoscere di essere più Petrilli che Zanna o Colasanti (come certifica anche il sadico test “sei un giovane di tendenza?” ideato da Paz per Frigidaire). Ma se lì l'underground di Cannibale era stato riverniciato divinamente dal segno anni '80 cercato dall'autore, e la crudeltà assoluta si compiaceva di un contesto borghese, qui la discesa agli inferi è assoluta in un degrado nel massimo compiacimento.

 

 

La difficoltà di Hanselmann, rispetto ai modelli storici dell'Undeground Comix cui inevitabilmente si può avvicinare l'autore (sia li conosca, come probabile, sia che li abbia recepiti in modo indiretto), è che ormai quell'Underground come “estetica dell'autodistruzione” è diventato mainstream, e da tempo. Nei dintorni del '68, i Freak Brothers di Shelton o il Fritz the Cat di Crumb scandalizzavano con maggior facilità per la distanza abissale da un fumetto mainstream iperlegalitario, dai supereroi a (qui da noi) gli eroi bonelliani.

 

 

Dai Simpson (1989) di Groening in poi, invece, un certo gusto autodistruttivo è stato sdoganato nella comicità di massa, più ancora nell'animazione che nel fumetto (e quindi in un ambito ancor più mainstream, dato che la fruizione era in gran parte gratuita e sulle tv generaliste dei '90) ma con ampio influsso sulla sfera dei comics. Homer non fa solo ridere per la sua ottusa grettezza (come poteva essere un Fred Flintstone) ma anche per una tendenza distruttiva ben più ampia, ulteriormente amplificata dai successori, dai Griffin a South Park. Eroi teoricamente borghesi, a differenza dei freak di Hanselmann e dell'undeground, ma con un tasso autodistruttivo fuori scala che culmina (estetizzato dall'appartenenza hollywoodiana) in BoJack Horseman e nei suoi coprotagonisti.

 

Hanselmann

 

Hanselmann riesce ad affermarsi come underground nella misura in cui non solo introduce (anti)eroi sottoproletari, ma nel momento in cui riesce ad accelerare questo elemento autodistruttivo e renderlo più radicale di quello già diffuso nel mainstream comic umoristico, pur mantenendone due elementi irrinunciabili: un alto grado di credibilità e una componente umoristica, per quanto caustica e deviata (tanto da far sentire in colpa il lettore per le sue risate, ma non poterle dentro di sé trattenere). Molti avvicinano le sue opere al genere della “stoner comedy”, diffusa al cinema ma anche, in misura minore, tra letteratura e fumetto: e sicuramente vi è una componente formalmente avvicinabile, ma a quella più nera e undeground, non a quella tutto sommato benevola e compiaciuta.

Se vogliamo – e, nel dirlo, ci auguriamo di essere presto smentiti – una certa sotterranea irrudicibilità di Hanselmann al mainstream appare nelle quattro nomination sia all'Eisner che all'Ignatz, i due grandi premi del fumetto USA, senza però mai ottenere una vittoria (mentre, invece, ha ottenuto il riconoscimento europeo più ambito, quello francese di Angouleme, nel 2018).

 

Hanselmann

 

L'abilità di Hanselmann sta inoltre nel saper reiterare a lungo questo perverso meccanismo comico, mantenendo un buon grado di originalità, e sfruttando al contempo i vantaggi della reiterazione tipici della comic strip, che portano col passare delle disavventure a concedere una sempre maggiore tridimensionalità ai personaggi. Creati i presupposti nelle storie confluite in “Megahex”, in “Special K” troviamo quindi ormai un cosmo più complesso delle storie delle origini, cosa che si evidenzia anche nel segno, sempre essenziale ma più accurato, con una certa bellezza specie nelle grandi tavole illustrate che aprono l'albo. Al contempo, le storie iniziano ad acquisire talvolta un certo oscuro spessore, e comincia ad emergere il tema della depressione di Megg, soprattutto nel cupo, impattante finale del volume.

 

Hanselmann

 

Una tendenza che si consolida in “Bad Gateway”, terzo volume delle disavventure del trio, dove questa vena seria prende decisamente il sopravvento: la depressione di Megg diviene un tema centrale e si va a indagarne le cause anche nel suo passato (e, nel finale, Megg tornerà da sua madre, lasciando presagire un confronto con i traumi della propria infanzia). “Bad Gateway” significa di fatto “cattivo passaggio”, e come spiegato dallo stesso Hanselmann, l'opera ha la valenza di una transizione dal Megg and Mogg più comico a quello maggiormente drammatico che si sta aprendo.

 

Hanselmann

 

A questo punto dell'evoluzione dei personaggi, interviene però il 2020 con il Covid e quanto comporta. Hanselmann decide quindi di fermare la – pur blanda – continuity del suo universo narrativo e analizzare come i suoi personaggi si muovono nell'emergenza pandemica, reputando (a ragione) che proseguire semplicemente la trama, in un'opera che ha il punto di forza in una satira al vetriolo della realtà, avrebbe poco senso.

Nasce così “Crisis Zone”, apparso inizialmente su Instagram e poi raccolto in un corposo volume. Il segno torna a essere per certi versi più underground, con disegni a matita colorati a pastello come presenti nelle prime storie. La griglia è sempre quella ampia, 3X4, con una gabbia claustrofobica, vignette caoticamente affollate e un ristretto spazio bianco tra vignette, che bene evoca la volutamente squallida ambientazione delle storie, in opprimenti case allo sfascio, a causa della marginalità ma anche dell'incuria totale dei protagonisti.

 

Hanselmann

 

Il tema del Covid fa da ulteriore detonatore alle psicosi da cui i vari personaggi sono oppressi, magnificando la loro funzione di specchio deformante ma, in qualche misura, rivelatore della nostra società. Se negli altri albi prevaleva maggiormente la distanza, come detto, col lettore mediamente più “borghese”, chiamato a un colpevole voyeurismo nel buco della serratura del disagio sociale, qui l'elemento sanamente inquietante è vedere come siamo in fondo simili a quei Freak che ci apparivano così distanti, una volta posti sotto la pressa fisica e mentale della estenuante emergenza sanitaria. Tutte le paranoie – l'igienizzazione, il terrore della malattia, l'ossessione per il binge watching su Netflix – appaiono rielaborate ed ingrandite nell'opera, in una deformazione fedele e disturbante.

In attesa del ritorno dei personaggi a una paradossale normalità, e della ripresa dello sviluppo della continuity della storia, con Megg costretta a confrontarsi con la sua infanzia, Hanselmann si conferma in grado di mantenere fede ai suoi presupposti, e farci vedere, a suo modo, quanto è profondo l'abisso umano dell'autodistruzione. Un processo, nel suo umorismo nero, fascinoso e ripugnante a un tempo: poiché quando guardiamo dentro l'abisso, come ci ricorda Nietzche, l'abisso guarda dentro di noi.

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