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Fly me to the moon, la commedia romantica è tornata sul grande schermo

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Non è un film perfetto. Ma per due ore ti godi una storia d’amore così, che non si vedeva in sala da un bel pezzo

Sono un maschio eterocisbasic: le commedie romantiche, le romcom, non sono mai state il mio genere preferito. Parliamoci chiaro: non è che non ne abbia mai vista una, son state per anni dei colossal con protagonisti gli attori e le attrici più in voga del momento. Il genere ci ha regalato dei gran film. Però, ecco, diciamo che se mi proponi di scegliere il film da vedere questa sera, forse non saranno la mia prima scelta. Eppure, quando ho visto il trailer di Fly Me to the Moon, ho subito detto: questo film voglio vederlo. Troppo succulenta l’idea di portare sul grande schermo una delle più incredibili leggende metropolitane di sempre: ci siamo stati davvero sulla Luna, o era tutta una trovata propagandistica yankee?

Ciò che ha messo in piedi Apple, che ha prodotto questo film e che dopo l’uscita al cinema lo terrà come esclusiva sulla sua piattaforma Apple TV+, è un bel filmetto che si fa guardare con piacere: a casa mia li chiamiamo “bicchieri d’acqua”, vanno giù senza sforzo e sono rinfrescanti. Sono quei film che ti guardi (e magari ti riguardi) col cervello acceso solo a metà e che ti lasciano un bel sapore in bocca: ben prodotti, ben girati, con qualche incertezza ma che non si prendono troppo sul serio. Quindi gli si perdona qualche piccola magagna. Lo stesso vale per il cast: con tre grandi nomi al centro della storia, su tutti Scarlett Johannson, che non danno la prova della vita ma che funzionano benissimo assieme sullo schermo.

Cominciamo dal principio

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, oltre alla questione dell’atomica già magistralmente descritta da Nolan in Oppenheimer, un’altra sfida vedeva contrapposti Stati Uniti e Unione Sovietica. Stiamo parlando della corsa allo spazio, con gli USA partiti con grandi speranze ma che furono rapidamente raggiunti e superati dai sovietici. Un problema di primato tecnico, scientifico e ovviamente di propaganda: per questo nel 1962 il presidente John F. Kennedy pronunciò uno storico discorso. Gli Stati Uniti sarebbero andati sulla Luna, entro il decennio, e avrebbero stabilito un primato insuperabile. Molte cose successero dopo quel momento: l’assassinio di Kennedy stesso, la tragedia dell’Apollo 1, non molti credevano che gli astronauti sarebbero davvero riusciti a battere i cosmonauti in questa impresa.

Qui parte la nostra storia: la NASA non è esattamente al suo massimo livello di popolarità, ci sono dubbi sui finanziamenti indispensabili a completare l’opera, a Cape Canaveral la tensione è massima. In ballo c’è il sogno di JFK, l’eredità degli eroi caduti nel tentativo di portare l’umanità sulla Luna, la credibilità di una intera nazione poggiata sulle spalle degli ingegneri dell’agenzia spaziale statunitense. Ed è in questo contesto di storia totalmente vera che si insinua il racconto inventato: Kelly Jones (Scarlett Johansson) è una creativa esperta di marketing e pubblicità, una donna che si muove in mondo tutto maschile che è la New York degli anni ‘60. Viene reclutata da un misterioso agente del Governo, interpretato da Woody Harrelson, per rilanciare l’immagine della NASA: anche superando le ritrosie del fin troppo zelante direttore delle operazioni, Cole Davis (Channing Tatum).

Ciò che segue è una commedia quasi scolastica: i due protagonisti non si prendono, all’inizio, ma pian piano inizieranno a capirsi a vicenda e a comprendere le ragioni che ci sono alla base delle rispettive scelte ed azioni. Fino al momento in cui il lancio dell’Apollo 11 è alle porte: a quel punto non si può più sbagliare, serve fare qualsiasi cosa per arrivare sul nostro satellite prima dei comunisti. Quindi nasce l’idea di inscenare un finto allunaggio in uno studio televisivo: così da esser certi che, anche in caso le cose dovessero andare storte, ci sarà comunque modo di raccontare un’epica impresa a stelle e strisce. Ovviamente, giova ribadirlo, questa storia è una storia di finzione. Intuire come andrà a finire però non è difficile, anche perché la storia dello sbarco di Armstrong e Aldrin sulla Luna è nota a tutti: per arrivarci, però, i nostri protagonisti ne vedranno delle belle.

Il motivo per vedere, subito, Fly Me to the Moon

Se dovessi dirvi in due parole perché questo film mi è piaciuto, ecco, non sarebbe facile. C’è un certo rigore nella ricostruzione storica, ma non manca qualche incertezza evidente agli occhi di un appassionato. I protagonisti funzionano abbastanza bene insieme ed è molto bella la scelta fatta per la scenografia e per i costumi: eppure ho un po’ storto il naso quando ho visto quanto abbiano calcato la mano nel cercare di rendere la moderna Johansson una sorta di vera donna degli anni ‘60 (con un trucco davvero troppo marcato). E allora com’è che mi sono alzato contento da quella poltrona?

Forse la vera chiave di lettura di questo film, a parte la bella alchimia che si sviluppa tra Tatum e Johannson (non ci avrei scommesso un euro che questi due sarebbero stati credibili come coppia sullo schermo), è che racconta una storia con l’obiettivo di raccontare altro: Fly Me to the Moon ci racconta di un periodo, ormai distante oltre 50 anni, senza provare a tutti i costi ad ammantare troppo di un filtro rosa-nostalgia un’epoca che viveva di contraddizioni esattamente come il nostro presente. Erano gli anni della segregazione razziale, dell'assassioni di Malcom X e del Reverendo King, c’era la guerra in Vietnam dove ogni giorno morivano a decine i più giovani cittadini degli Stati Uniti. Il Presidente era Nixon, che indubitabilmente non gode a posteriori di una fama specchiata.

Insomma, ciò che fa il regista Greg Berlanti (che non sarà Spielberg, ma se la cava) è dipingere l’affresco di un’epoca. Ok, perdonatemi la frase fatta: ma rende l’idea. Berlanti non è un regista con alle spalle importanti esperienze sul grande schermo: in TV, però, ha fatto cose molto interessanti con produzioni teen o con serie di supereroi, ha esperienza nell’utilizzo di un linguaggio efficace ma allo stesso tempo leggibile da chiunque. Ed è esattamente questo linguaggio che ritroviamo in una produzione dal buon budget (si parla di 100 milioni di dollari) e che ha convinto talmente tanto gli Studios (il film è frutto di una collaborazione tra Sony e Apple) da meritarsi un passaggio in sala e non l’approdo diretto allo streaming.

Nel complesso, Fly Me to the Moon è un bel prodotto di artigianato cinematografico: non è un colossal, non cambierà la storia della settima arte, ma è un compito portato a termine con puntualità, che gode delle interpretazioni azzeccate di un cast di ottimo livello. Analizzandolo con attenzione si coglieranno parecchie imperfezioni che magari sfuggono a una prima occhiata: ma è una romcom, una commedia senza impegno, che prova solo velatamente a criticare il mondo della post-verità in cui viviamo e che alla fine non prova a tirar fuori una morale a tutti i costi.

Stiamo pur sempre parlando del momento della storia in cui il capitalismo sembrò davvero riuscire a spazzare via qualsiasi dubbio sulla sua capacità di cambiare in meglio il mondo: oggi sappiamo che non fu davvero così, ma nessuno ci potrà privare del piacere di passare un paio d’ore negli anni ‘60 e sorridere alla vista di due opposti che finiscono inesorabilmente per attrarsi e innamorarsi. Se vi va di commuovervi un po’ e volete godervi una serata spensierata, andate a vederlo al cinema: Fly Me to the Moon esce in questi giorni in sala, praticamente 55 anni esatti dopo il primo allunaggio.

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