Dragon Ball: Sparking! Zero vive di ricordi e va benissimo così
Dragon Ball: Sparking! Zero è una masterclass di come fare giochi collegati a prodotti animati di successo
La spasmodica attesa per Dragon Ball: Sparking! Zero, o comunemente noto come il “nuovo Tenkaichi” è un fenomeno affascinante che, a mio giudizio, rivela moltissimo su quello che voglia dire fare un tie-in per un prodotto animato e appagare il pubblico che li cerca.
Shonen Jump del resto è stata un po’ un precursore in questo campo e i ricordi di qualsiasi appassionato sono sicuramente abitati sia dai primi giochi di Dragon Ball che di Naruto o, per i più accaniti, da J-Stars (non l’ultimo, quello fa schifo). Questo perché? Perché all’epoca sia la tecnologia che alcuni studi di sviluppo hanno fatto sì che venisse creata la commistione perfetta tra modalità di gioco e fedeltà al progetto originale, dando perfettamente la sensazione di star giocando uno degli episodi dei propri anime preferiti.
La fama di Tenkaichi o Budokai non arriva di certo dalla caratura del gioco in sé, ma dal fatto che tutto l’impegno era stato versato nel creare un’esperienza che si avvicinasse sempre di più all’opera originale fin nei minimi dettagli, perfino le schermate di caricamento sono memorabili! Ma prendiamo anche Naruto e il lavoro enorme che ha fatto CyberConnect 2 nel proporre veramente frame per frame l’intera serie animata su un arco di giochi enorme, talmente fatti bene che non sono invecchiati mai.
I giochi anime tie-in sono una cosa seria
Allora perché, negli anni successivi e in progetti paralleli, non è sempre andata così bene? La risposta è che il fattore “videogioco” è diventato più dominante rispetto al dare un’esperienza che fosse un buon punto di bilanciamento. Dragon Ball Raging Blast è un esempio perfetto del “fare male”, nonostante fece buone vendite in fin dei conti. A livello di gioco potrebbe essere considerato più tecnico e la grafica ha abbandonato una certa fedeltà cartoonesca per avvicinarsi allo standard dell’industria videoludica al tempo, un errore che ha creato alcuni dei modelli più brutti del marchio e che poi, non contenti, hanno ripetuto con Jump Force. Su Raging Blast ne è uscita un’esperienza frustrante e lontana dai fasti di un tempo, qualcosa che un po' distrusse la speranza di tanti.
Nell’era moderna delle console post PlayStation 3 il destino di molti tie-in di serie anime è stato, quindi, a dir poco funesto. Tokyo Ghoul e Jujutsu Kaisen non se la sono passati per niente bene con i loro videogiochi a tema, così come non lo ha fatto Black Clover: la ragione per questo fallimento è la poca accortezza nel creare la giusta unione tra le parti, spesso scadendo nelle meccaniche di gioco che rendono frustrante usare i personaggi oppure mancando di varietà. Altre volte è il gioco che prende il sopravvento, snaturando quella che è l’essenza del prodotto animato per passare ad arene di combattimento che sembrano principalmente una copia di quello che è stato il successo sia di Naruto che di Dragon Ball, non capendo che serve la verve giusta e l’attenzione ai dettagli per far sì che esca un prodotto decente.
Un altro caso che ci rivela molto sulla formula che ha portato a far centrare Dragon Ball: Sparking! Zero credo sia il gioco di Demon Slayer di CyberConnect 2, che essenzialmente ha copia-incollato la base di Naruto appiccicandoci l’opera di Koyoharu Gotōge, il che tutto sommato non è stata una cattiva pensata considerando le similitudini visive e filosofiche tra i due. Con una formula così rodata e degli esperti allo sviluppo, avrebbe dovuto funzionare molto bene e lo ha fatto, ma non quanto i suoi fratelli Tenkaichi e Ninja Storm.
La Formula del Drago
La ragione per cui questi giochi ci hanno rubato tanto ore è dovuta anche (e soprattutto) alla ricchezza del roster e delle mosse presenti, delle trasformazioni da poter utilizzare e dai diversi archi narrativi a disposizione. Quando Tenkaichi è diventato un successo Dragon Ball aveva alle spalle tutto Z, GT e una marea di film.
Naruto, al cambio da picchiaduro 2D a quello 3D, aveva almeno fino a metà Shippuden. Demon Slayer (così come Jujutsu Kaisen o My Hero Academia per tirare fuori un altro gigante shonen) al debutto per il suo gioco aveva a malapena raggiunto i 24 episodi lasciando che fossero i DLC a riempire i vuoti, cosa che molti non hanno digerito. La varietà per un gioco del genere è Vitale, è proprio quella che permette a noi e ai nostri amici di sfidarci a ripetizione in combinazioni sempre diverse, anzi addirittura organizzando i tornei nel caso di Dragon Ball.
Sparking! Zero è l’apoteosi di quello che quindi funziona, delle cose che abbiamo amato in questo tempo e un po’ la somma di tutto il background precedente. Le animazioni hanno lo spessore vicino a quello di Fighter Z, le implicazioni per la storia e la gestione degli scontri mima Xenoverse e l’impianto è quello di Tenkaichi come lo abbiamo sempre ricordato.
È un gioco perfetto? Assolutamente no: è sbilanciato, poco pulito nei menù di scelta dei personaggi e nel 2024 quasi 2025 ancora dobbiamo pagare per la musiche anime. Qualcuno lo ha definito l’essenza del fan service e direi che tale definizione lo riassume molto bene, appunto è molto meno “gioco” che “intrattenimento mirato”. Sezionandolo possiamo osservare una struttura meccanica veramente basilare, claudicante nello scontro ravvicinato e nelle gestione della guardia, per non parlare della parte online che non ha assolutamente senso in ottica competitiva. Anche la storia è ridotta molto all’osso nell’esposizione, per quanto abbia veramente tanti scenari “What If” invitanti da esplorare.
Il punto è che a Dragon Ball: Sparking! Zero quasi non servirebbero questi elementi perché la vera attenzione è stata posta sui dettagli, sulle mosse spettacolari, sulle facce e le animazioni che mimano i vostri episodi preferiti. Con ben 180 (e in espansione) personaggi da utilizzare si può ripetere l’intero anime e oltre senza annoiarsi neanche un secondo. Ognuno ha le proprie mosse, trasformazioni e animazioni addirittura per le “abilità” che non solo rendono uniche perfino tutte le miriadi varianti di Goku, ma hanno il grande obiettivo di ricalcare i ricordi dell’anime di quando eravamo davanti alla TV dopo la scuola.
Quello che fanno a livello di gameplay non ha neanche importanza, non siamo mai andati a pensare che strategicamente utilizzare una buona combo da vicino ci avrebbe condotto più facilmente alla vittoria invece di investire ogni risorsa nel battere l’avversario proprio con quella Kamehameha finale alla massima potenza, sacrificando la nostra dignità e qualche amicizia.
Dragon Ball: Sparking! Zero è tutto composto da questi sentimenti e volontà, delle stupidaggini al limite del cringe che compivamo quando eravamo bambini, dal voler piegare le regole del gioco fino ad annullarne il concetto ludico pur di fare quello che vogliamo con i nostri personaggi preferiti.
Proprio il motivo per cui volevamo il ritorno di Tenkaichi, la ragione ultima per vedere Dragon Ball avere ancora una volta successo sulle piattaforme del videogioco: tornare più piccoli, godendosi la sensazione di fregarsene di ogni elemento di gioco per avviare quel match Maestro Muten contro Gogeta SSJ4.