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Dove c'è Game Boy c'è casa

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Il Game Boy compie gli anni e mi permette di ricordarlo per quello che è: il mio feticcio perfetto.

Poche cose riescono a scatenarmi la voglia di mettermi davanti alla tastiera senza sapere dove andrò a finire come la notizia di qualcosa che faceva parte della mia infanzia che diventa vecchio, o almeno, decisamente adulto. Tipo che in questi giorni, 21 aprile, nel 1989 il Game Boy debuttava in Giappone. Il che lo rende ormai un sereno trentenne (e passa) con le sue storie di vita, i suoi acciacchi, le sue memorie.

Se poi consideriamo che per l’hardware gli anni si contano un po’ come per i cani, la distanza che ci separa dal Game Boy oggi appare ancora più grande. Nell’anno in cui esce il Game Boy guardare indietro di trent’anni vuol dire gettare l’occhio su un’epoca in cui non abbiamo ancora mandato il primo uomo in orbita, non esiste internet e le televisioni sono mobili in legno.

Oggi il Game Boy ci appare un po’ come quei televisori in legno, o almeno così dovrebbe se non ci aggrappassimo così tenacemente al nostro passato (e certi giochi non fossero tutt’ora godibilissimi).

Il passato, quella cosa che quando dici Game Boy io ho l’immagine precisa di un ristorante d’estate, sono seduto a un estremo del tavolo, ho con me uno di quegli albi spessi di raccolte di classici Disney, verde, credo, e una specie di borsetta per portarmi dietro il Game Boy, cinque o sei giochi, un pacco di pile di ricambio. Se mangio tutto dopo posso giocare tranquillo, mentre gli adulti parlano, sedendomi nel giardino del ristorante, sotto un ulivo.

Perché la mia testa abbia pensato “Questa cosa è importante, preziosa, necessaria, la conserveremo accanto al fatto che devi stare attento quando attraversi la strada e a tutte quelle paure ancestrali che la tua stirpe si porta dietro da millenni, tanto abbiamo appena cancellato il ricordo che devi stare attento che non ci sia una vespa quando metti le ciabatte” non l’ho mai capito. Infatti al mare ben due volte le vespe mi hanno punto nello stesso identico modo.

Però in compenso non ho mai dimenticato il Game Boy. Forse mi ci sono perfino inconsciamente legato troppo. Tanto che poi quando uscirono le versioni color, pocket, advance e così via le ignorai totalmente fino al DS. E non mi sono mai chiesto perché, forse banalmente dovevo fare una scelta e quella scelta fu il mondo PC e la PlayStation.

Chissà forse le prime persone che hanno utilizzato un Walkman si devono essere sentite come me quando andavo in giro col mio borsello nero coi bordi rossi pieno di giochi e batterie (avevo persino la lente con la luce per giocarci la sera, un vero professionista) conscio che i giochi non mi abbandonavano, non erano più fisicamente collocati in uno spazio. Io ero lo spazio di gioco.

È qualcosa che, con la dovuta scala, ricorda molto l’arrivo dell’iPhone e in generale della trasformazione di internet da realtà tangibile e piena di cavi a spazio in cui nuotiamo tutti i giorni. Va detto, ho vissuto una vita ricca di prime volte interessanti, e nel bene nel male e questa è senza dubbio stata una delle migliori. Sicuramente più piacevole di far parte di un periodo storico dove si è più poveri dei propri genitori.

Che poi io mi porto dietro pure quella strana sensazione di essere nato nel guado, sono dell’81, troppo giovane per certe manie della Generazione X, troppo vecchio per molte cose che caratterizzano i Millenial. Pesco un po’ di qua e un po’ di là, un po’ i Masters, un po’ le Tararughe Ninja, un po’ gli anni ‘80. un po’ gli anni ‘90. Forse è per questo che tendo sempre a faticare nel trovare qualcosa che mi definisca a pieno. Stupido Xennial.

Forse per questo amo tanto il Game Boy, anche lui, essendo nato nel 1989, vive su una soglia. Ed è stato per me il prodotto-feticcio perfetto.

Mi basta guardare il Game Boy per rientrare subito in una dimensione di calore umano, di oggetti che sembravano giganteschi nelle mani di bambino e che ancora oggi conservano il gusto infantile del giocattolo. È parte di quella che viene chiamata “Nintendo Difference” ed il lascito culturale di Gunpei Yokoi, un uomo partito dalle catene di montaggio che amava creare giocattoli e che oggi viene ricordato, essendone l'inventore da ogni croce direzionale che sia mai esistita. Con una sorta di blasfemo paragone con Gesù che probabilmente mi farà guadagnare l’inferno, se esiste. E saprò che è l’inferno perché non ci sarà un Game Boy.

Yokoi applicò una filosofia di design geniale, anticonvenzionale per un periodo in cui la tecnologia faceva passi da gigante e puntava costantemente sul nuovo. Una filosofia che solo Nintendo poteva e può tuttora bilanciare senza rischiare che la gente si mette a fischiare: utilizzare tecnologie vetuste e consolidate, mescolarle con un design solido, piacevole e un game design a prova di bomba. È compatto, si adatta a te così come tu ti adatti a lui, a uno schermo che ti richiede una capacità di riempire i vuoti con la fantasia tipica della giovinezza.

Il Game Boy è il simbolo perfetto di Nintendo, una società che non è innovativa, non è antica, semplicemente è, si posiziona in uno spazio dove il tempo scorre in modo differente. Un marchio che riesce a portare avanti un messaggio stando ferma, proteggendolo con ferocia, ma senza timore di fare anche dei grandissimi passi falsi.

Forse per questo si aggancia così facilmente con i ricordi del passato, col calore degli affetti, con un momento di estasi ludica che veniva strappata dai salotti e dalle camerette per arrivare ovunque vi fosse un minimo di luce decente. Per quanto le sue strategie siano senza dubbio valutate con cura, hai sempre l’impressione che Nintendo se la giochi come un ragazzino che non ha paura di sbucciarsi le ginocchia. A volte si fa malissimo, come nei video di fail, a volte è adorabile, ma ogni volta si rialza e te sei li che pensi “ma come cazzo facevo a 10 anni a giocare 5 ore a calcio sulla sabbia?

Il Game Boy è stato quella felpa che magari passavi poi ai parenti più giovani, infatti il mio è finito così, disintegrato da almeno un paio di generazioni, perché all’epoca nessuno pensava che avremmo voluto aggrapparci alla giovinezza perché ci faceva schifo il futuro. L'ho fatto con praticamente ogni oggetto videoludico che ho avuto tra le mani: le PlayStation, i giochi, vecchi PC, solo l'Atari mi è rimasto, e per fortuna.

Troppo tardi mi sono accorto di far parte di quella generazione che avrebbe volentieri ricomprato il suo passato, vissuto o idealizzato, non appena avrebbe avuto due spicci in tasca. Ma il Game Boy è sempre affetto, anche quando non è il tuo, anche quando te ne regalano uno a sorpresa per il tuo compleanno le persone che probabilmente stanno leggendo queste righe. Bello, fiammante, con lo schermo illuminato. Perché la nostalgia è bella, ma il passato si può migliorare, sennò che ci stiamo qua a fare.

È qua dietro di me, lo guardo, sorrido, è solo un oggetto, che rimanda a un altro oggetto, che rimanda a un mondo interiore di belle sensazioni. Potrà sembrare triste, ma vengo da una generazione che in mezzo agli oggetti e al bisogno di dargli un significato per farli comprare ci è cresciuta. D'altronde eccolo qua: il feticcio perfetto: è una roba vecchia, della tua infanzia, ma quando ci giochi non ti delude come certe memorie ingiallite. E quindi scusatemi se ogni tanto metto le cornici alle mie malinconie per far finta che siano quadri. Sono sicuro che molti filosofi si divertirebbero con questa concatenazione, ma io sono solo uno che scrive e che ogni tanto ha bisogno di fare una partita a SuperMarioLand 2.

 

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