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Condizioni migliori per videogiochi migliori

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Il rapporto della Game Developer Conference 2023 mostra un settore che sta cambiando e in cui i lavoratori stanno cercando di raccontarsi superando gli stereopiti dello sviluppo di videogiochi come "lavoro dei sogni" per arrivare ai sindacati e uno smart working più flessibile.

I siti di informazione sui videogiochi ci hanno abituati nell’ultimo periodo a dover ripensare alla narrativa con cui si racconta lo sviluppo videoludico. Se per molti fare videogiochi è un sogno, è però importante ricordare che è anche un lavoro.

 

Eppure la narrativa entusiasta ancora non si placa, quando forse dovremmo prendere consapevolezza di alcuni fenomeni interni al settore che lo stanno rovinando e, nel farlo, stanno rovinando anche tante persone. La prima cosa che hanno fatto i lavoratori, e che i giornali hanno seguito visti anche gli scandali e i report pubblicati, è stato riprendere in mano la narrazione sul proprio lavoro, strappandola dalle mani degli uffici di marketing e affrontando le disparità a cui vanno incontro.

 

I problemi di crunch, culture aziendali tossiche, pochi benefit e tanta precarietà lavorativa sono all’ordine del giorno per chi lavora nel mondo dei videogiochi. Se per analizzare questo fenomeno è necessario, ovviamente, inquadrare anche la cultura lavorativa nord americana e tutto il substrato politico, è però anche importante considerare che questi fenomeni sono anche endemici nell’industria videoludica e tech, ovvero riguardano proprio questi settori e queste tipologie lavorative. Per cui nonostante culture e legislazioni differenti, aleggiano negli uffici come presenze spettrali.

In questi anni, in diretta contrapposizione alle condizioni di lavoro disumane, sta man mano crescendo un sentimento di sindacalizzazione tra i lavoratori del videogioco. Ciò non è da trascurare, non soltanto perché inserito nel contesto politico statunitense da sempre liberista e avverso ai sindacati, ma anche per il fatto che il settore tech è tra i meno sindacalizzati, nonostante sia tra i più importanti nella nostra società, sia per servizi che per intrattenimento.

 

L’ultimo rapporto della GDC, che ha intervistato più di 2000 addetti ai lavori, ci fornisce un dato molto interessante sull’argomento e che conferma la percezione che si ha del fenomeno: il 53% dei game worker pensa che il settore debba sindacalizzarsi.

 

«È una questione che riguarda principalmente gli Stati Uniti, dato che le cose per cui i nostri colleghi stanno combattendo sono già presenti per legge in molti stati Europei. Supporto la sindacalizzazione dove è necessaria, ma sarei più a favore di un più forte e sostanziale cambiamento sistemico per renderle non necessarie» dichiara una delle persone intervistate.

 

In questi ultimi anni abbiamo visto sindacalizzarsi i lavoratori del controllo qualità di Raven Software, azienda che si è occupata di Call of Duty Warzone, abbiamo visto i tentativi da parte di Activision-Blizzard di dissuadere i lavoratori attraverso mail e l’assunzione di studi d’avvocatura specializzati nel contrasto ai sindacati. Una cosa che peraltro sarebbe contro la legge negli Stati Uniti, ma che questi studi di avvocatura aggirano tramite un cavillo: chiamano questa pratica union-avoidance invece che union-busting. Dei gran volponi, non c’è che dire.

 

Videogiochi sindacati

In questa fase di crescita del sentimento di sindacalizzazione, i sindacati stanno cercando di imporsi come una difesa dei lavoratori e il clima all’interno delle aziende è decisamente conflittuale e aspro. È la reazione prevedibile di anni in cui al posto di ridurre il divario, la dirigenza ha alimentato una spaccatura netta con i lavoratori e tra i lavoratori stessi, che adesso si trovano divisi.

 

Manca una coscienza di classe e collettiva, una caratteristica che rende questo processo ancora più difficile da avviare poiché è necessario prima di tutto decostruire il mito della performatività tipica della hustle culture. Ovvero quella cultura che ti dice che per avere successo devi lavorare tanto e trascurarti come persona, sputare sangue e sudore per riuscire poi a scalare le vette e ad esse un “vincente”.

 

È simbolica l’immagine di Esther Crowford, manager di Twitter fotografata mentre dormiva a lavoro con il sacco a pelo, e che poi è stata licenziata qualche giorno fa. Se però scorrendo i reel incontriamo tre ragazzi bianchi che fanno un podcast e parlano di successo e criptovalute, beh anche quella è hustle culture.

Decostruire le narrative di questo tipo è cruciale. Si può fare cominciando a pensare a un nuovo equilibrio tra lavoro e vita personale. Questo tema porta inevitabilmente ad uno scontro molto acceso, causato dal divario di potere e dalla paura di perdere il proprio lavoro, o di non riuscire a fare carriera all’interno dell’azienda. «Faccio parte di un sindacato e se non ci fosse un pessimo atteggiamento da parte dei manager senior di grandi aziende sulla questione, e specialmente in aziende americane, incoraggerei gli altri a fare lo stesso. Tuttavia, può avere effetti negativi su eventuali prospettive future che ho, per cui sto zitto» si legge nel documento della GDC, che riporta come il 60% degli intervistati non discuta dell’argomento sindacalizzazione in ufficio.

 

Un altro punto di rottura è arrivato con la pandemia, che ha velocizzato l’impiego dello smart work negli uffici; una misura che, come ci racconta il Segretario Nazionale di SmartWorkersUnion Gilberto Gini, sta «piano piano lasciando la fase pandemica per entrare in quella a regime». Il rapporto della GDC indica che nella game industry ci sia una crescita delle settimane ibride, dall’11% dell’anno scorso al 17% di quest’anno. Il 33% dichiara invece di aver sempre lavorato in remoto. Una conquista non da poco: un trend positivo che non deve arrestarsi. «La modalità di esecuzione della prestazione lavorativa dovrebbe essere scelta dal lavoratore, in modo tale da poter consentire agli stessi di lavorare a distanza in forma full o ibrida, o addirittura lavorare in presenza» afferma Gini.

 

Contattato per mail per una panoramica sulla situazione in Italia, Gini mi ha raccontato però che l’utilizzo del lavoro remoto è generalmente diminuito rispetto al 2020, ma che è comunque ancora abbastanza diffuso. «Un'indagine di ENEA ha evidenziato che attualmente stanno lavorando da remoto il 14% dei lavoratori ma potenzialmente potrebbero essere il 40%. Nel resto d'Europa le percentuali di utilizzo sono molto più alte» afferma.

 

Videogiochi Lavoro Agile

 

Sul lavoro agile, però, ci sono degli ostacoli. Su questo Gilberto Gini ci ha confermato che ne esistono di due tipologie: culturali ed economiche; con resistenze più forti nelle micro-piccole imprese e nella Pubblica Amministrazione.

 

«La prima è molto presente nelle figure apicali che vogliono esercitare il loro potere attraverso il comando ed il controllo del lavoratore. Questa tipologia di capi non concede fiducia ed autonomia ai propri collaboratori, fonda la sua organizzazione del lavoro su strutture piramidali e non imposta gli obiettivi da raggiungere. La presenza fisica in ufficio è fondamentale per esercitare il proprio potere».

 

La seconda invece riguarda il sistema economico e la costruzione delle città «perché la società attuale è basata sulla mobilità delle persone e sui consumi» afferma Gini. «Per questo motivo abbiamo grandi concentrazioni di persone nelle grandi città ed uno spopolamento nelle piccole e nei borghi, quartieri commerciali dove solitamente sorgono gli uffici e quartieri o periferie dormitorio. Lo spostarsi per andare al lavoro o al centro commerciale mantiene in vita questo vecchio modello economico che non vuole evolversi e che tiene sotto scacco la politica finanziando le campagne elettorali» conclude.

Insomma, l’industria tech e videoludica stanno cambiando velocemente e gli scenari che ci aspettano da qui in avanti sono da osservare con la massima attenzione. Perché la Silicon Valley, per quanto riguarda questo settore, influenza tutto il mondo. Anche se alcune delle narrative entusiaste rimangono dominanti, cominciano ad accusare segni di cedimento.

 

È vitale ascoltare i lavoratori mentre riprendono in mano la propria narrazione, mentre guadagnano più potere su di essa e sui loro contratti. E se i game workers riescono ad ottenere sindacati, benefit e condizioni di lavoro migliori, potremo giocare a videogiochi migliori, finiti e realizzati nel rispetto di chi li ha creati.

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