

Come Breath of the Wild ha sfidato i limiti videoludici
Un'analisi dei vari aspetti di Breath of the Wild, cogliendo l'essenza di un titolo che è un capolavoro sotto molti aspetti, non solo quelli ludici
Accolto in maniera estremamente positiva dalla critica, diventando presto uno dei top selling title della Nintendo, Breath of the Wild [poi: BotW] ci dimostra come è possibile creare uno dei migliori videogiochi del decennio e cambiare le regole del gioco (e con esse, le sue rappresentazioni sociali). Con BotW, la serie di The Legend of Zelda, considerata uno degli esempi più elevati della cultura videoludica, ha compiuto un passo ulteriore, dimostrando che la creatività e l’originalità delle idee viene premiata anche quando contraria alle credenze di massa.
[Mild-spoiler alert]
Prima di incamminarci verso il mondo di Hyrule, una domanda sorge spontanea. Perché parlare di videogiochi? E perché affiancarci le rappresentazioni sociali?
Il videogioco rappresenta uno dei medium più rappresentativi della nostra cultura, sociale e visuale, cosa che lo ha portato a ricevere un’attenzione accademica e mediatica ben più alta degli altri media (Parker 2014). Come per ogni nuovo medium, è necessario del tempo per abituarsi alla sua presenza e comprendere il suo potenziale (Tavinor 2009), e per molti (spesso, non gamers) i videogiochi consistono ancora in un passatempo improduttivo, che può eventualmente portare, alternando, a comportamenti violenti o sessisti.
Oltre che col timore reverenziale nei confronti del nuovo, questo sintomo è spiegabile con una delle caratteristiche distintive del videogioco: l’abilità di provocare un’esperienza di totale immersione con il mondo virtuale. L’immedesimazione nei personaggi e/o l’ambiente circostante, in verità, avviene spesso nei media narrativi: per citarne alcuni: la lettura, il cinema, l’animazione; che tuttavia vengono tacciati molto meno dell’accusa di pericolosità. Questo avviene principalmente per una specifica del medium videoludico, ovvero l’embodiement, letteralmente “incorporazione” (Kirkpatrick 2011). Infatti, il giocatore non si limita a subire passivamente la narrazione del gioco, ma contribuisce attivamente al suo compimento.
Un primo livello di questa partecipazione è quello delle scelte narrative: sebbene i videogiochi propongano spesso una narrativa deterministica, che deve necessariamente attenersi alle regole, sta al giocatore decidere in quale sequenza e a quale ritmo performare le azioni che lo porteranno eventualmente al finale.
Mentre le scelte del giocatore si pongono ancora su un piano quasi astratto, il secondo livello dell’embodiement, da cui poi prende la parola, è quello più puramente corporeo: quando siamo in gioco, il nostro corpo è in movimento. Infatti, il videogioco si basa sul dialogo tra l’interfaccia grafica-virtuale (il mondo del gioco nel “retro” dello schermo) e l’esperienza fisica reale, tramite i dispositivi di comando. In parole povere, se muovo il mio analogico (e quindi il mio pollice) a destra, il mio personaggio si muoverà a destra: questa minuscola operazione dà al giocatore una libertà che non aveva mai sperimentato prima, e che si traduce in una vera e propria esperienza estetica dal forte impatto emotivo (Isbister 2016).
Questa caratteristica fa sì che, sebbene il videogioco coesista nell’ecologia mediatica e ne subisca le influenze (come ad esempio, l’uso del cinematismo) data la sua diffusione e il suo impatto emotivo, contribuisce in maniera ben più intesa a influenzare e condizionare l’esperienza dell’individuo e poi della collettività. È pertanto necessario considerare l’impatto del videogioco all’interno della nostra cultura visuale e, in quanto si fa spesso specchio di narrative e rappresentazioni sociali, all’interno della nostra cultura sociale (Murray 2017).
E proprio le rappresentazioni sociali hanno dato vita, nell’ultimo ventennio, a numerosi scontri, talvolta molto accesi, sugli stereotipi wasp all’interno del mondo videoludico e quindi sull’inclusione di sesso (in particolare, figure femminili), e di razza[2] (di noncaucasici) all’interno dei videogiochi triple A – al contrario, le minoranze sociali hanno spesso trovato ampia rappresentazione nei videogiochi indipendenti.
BotW, nonostante sia chiaramente parte dell’industria di massa (e, peraltro, uno dei più attesi del decennio) sfida questi schemi, pur se sottovoce. Nell’analisi che segue, si tenterà di delinearne gli aspetti.
1. Incipit: il fallimento
La storia di BotW inizia nell’altare della Resurrezione. Il giocatore (Link) ode una voce che gli dice di alzarsi: una quest lo aspetta, in voga dall’ ’86: diventare abbastanza forte da sconfiggere Ganon (in questo caso, ritratto come un’oscura massa fluttuante) e salvare Hyrule. Verrebbe dunque da ritenere che Link sia l’eroe di Hyrule – e di fatto, lo è. Eppure, in questo episodio Link è rimasto nell’altare della resurrezione per un secolo, mentre Ganon imperversa tra le stanze del castello e l’unica ragione per cui le sue ombre non sconfinano in Hyrule è proprio perché Zelda, che non potrà resistere ancora per molto, le trattiene. Ne emerge quindi che mentre Link è a riprendersi dall’ultima battaglia, proprio la damsel in distress tiene a bada quello che non rappresenta solo un boss finale, ma la rappresentazione deontologica del Male. Il giocatore, ovviamente, intuisce che Link abbia avuto un ruolo di una qualche importanza all’interno della battaglia con Calamity Ganon, ma il suo little guy non ne sa nulla: Link ha perso tutti i suoi ricordi.
BotW inizia con l’antitesi dell’eroe: la perdita della memoria, il fallimento, la dimenticanza di aver avuto un ruolo fondamentale nella battaglia e la dimenticanza della battaglia stessa. Il fato di Hyrule è incerto due volte: da un lato, bisogna ancora sconfiggere Calamity Ganon, dall’altro, è una guerra che bisogna portare avanti nel momento in cui egli ha rivoltato contro il Bene le sue armi (i guardiani), e va portata avanti (parzialmente) da soli, con la consapevolezza di aver perso tanti degli amici di cui neppure ci si ricorda il nome e di averne un’altra, stremata, ancora sul campo di battaglia.
2. Link: eroe antieroico
Ed è proprio per questo comportamento che Link, soprattutto nella fase iniziale del gioco, non è affatto ben visto da tutti gli abitanti di Hyrule. Alcuni di questi sono disposti ad aiutarlo e lo tengono in grande ammirazione (come Impa, Paya e Sidon), ma altri non lo vedono affatto di buon occhio, soprattutto gli Zora. E lì infatti che Link si scontra con la maggiore inaccettazione da parte degli Zora, con gran parte di loro che lo incolpano di aver procurato la perdita della loro diletta Mipha (uno dei campioni che aveva combattuto contro Ganon cent’anni prima, mai più tornata).
Nel territorio degli Zora, Link ha il compito di domare uno dei quattro Colossi sacri, Van Ruta, utilizzata nella battaglia precedente e poi caduta nelle mani del male. Per fare questo, avrà bisogno dell’aiuto di diversi personaggi all’interno di Hyrule. Nel dominio degli Zora, Muzu, tutore di Mipha, si rifiuta inizialmente di aiutarlo proprio per l’antico rancore nei riguardi della sua pupilla, poi sfociato in una totale sfiducia, che Link riconquisterà solo con moltissimi sforzi – e anche con la riconquista della Beast. È un’accoglienza del tutto insolita per un eroe, che ne esalta, attraverso la voce degli Zora, le mancanze e le debolezze, e soprattutto la colpa di aver lasciato indietro i suoi compagni.
Bisogna comunque indicare che Link è piuttosto benvoluto da altri popoli, come ad esempio accade con gli Hylian, e ne conservano anche un ricordo piacevole e la fiducia che avrebbe potuto riportare l’ordine nel caos (come si evince ad esempio da una fanciulla, Aliza, innamorata del “guerriero della spada suprema”).
Tuttavia, vi è un altro popolo che a Link non vuole neppure dare la possibilità di entrare nella propria città: i (o le, per meglio dire) Gerudo, perché solo le vai (donne) sono ammesse in città, e Link, da Achille postmoderno, è costretto a vestirsi da fanciulla per rispondere ai suoi doveri di prode guerriero. L’aver combattuto al fianco di Urbosa, campionessa delle Gerudo, non conta nulla contro le regole delle cittadine. Link è un voe (uomo), e ai voe non è permesso entrare, neppure se è loro dovere salvare Hyrule.
Ovviamente, le iterazioni di questo tipo con i vari popoli hanno certamente il compito di creare il conflitto e catturare l’attenzione dello spettatore. Eppure, Link continuerebbe ad essere non conforme all’archetipo idealizzato dell’eroe anche se tutti lo adorassero: fondamentalmente, Link non sa, perché non ha memoria. E inizialmente questa operazione è frustrante, perché il nostro eroe è circondato da persone che conoscono il suo passato e non può nemmeno ricordare gli amici perduti.
Link, ancora eroe di Hyrule, è un eroe a metà, che non sa di esserlo.
3. Gli abitanti di Hyrule e le loro razze
Spostando l’attenzione sul mondo di Hyrule, si può notare come BotW mette in discussione molti degli stereotipi della rappresentazione di razza e genere nel videogioco – e fa il tutto sottovoce, senza esaltazioni Kojima-style che culminano con un sistema respiratorio epidermico.
Riassumendo, ad Hyrule esistono almeno cinque razze diverse: Hylians, sostanzialmente umani con le orecchie allungate e leggermente più bassi degli altri, che abitano il villagio di Hateno; Sheikah, simili agli Hylian, abitanti della zona sudorientale (Villaggio Calbarico); Gerudo, donne imponenti e nerborute, che vivono nei pressi del deserto sudoccidentale; Goron, individui alti e tondeggianti, che si nutrono di pietre e vivono nei pressi del vulcano Oldin; i Rito, uomini-uccello che vivono su delle alture a Nord-Ovest, nelle montagne Hebra; e infine gli Zora, uomini-pesce che abitano in una città sopraelevata e circondati da cascate, nella zona centrorientale, presso i monti Lanaryu.
Ognuna di queste creature è profondamente diversa dall’altra e diverse sono le loro abilità, eppure non di rado si incontrano Hylian alla città di Gerudo, Gerudo tra i villaggi dei Goron. Apparentemente, gli abitanti di Hyrule vivono in armonia e – per quel che ne ho visto – non vi sono commenti né “razzisti”, né tantomeno “stereotipati” da parte dei personaggi (come accade in numerose altre opere, primo fra tutti J.R.R.T.).
Un’ultima analisi: si può osservare come nelle stesse razze vi siano delle notevoli variazioni tra le caratteristiche fisiche: questo è particolarmente evidente negli Hylians, i più simili agli uomini, che si presentano sia con la pelle scura che con tratti asiatici (in diverse locande e nel villaggio di Lurelin). Similmente, anche le altre razze hanno colori e caratterizzazioni diverse, sia in termini di fisico, che di età, che di colore vero e proprio (questo è particolarmente evidente per gli Zora e i Rito, che si presentano con colori variegati).
Ad ogni modo, la diversità di razza non appartiene solo al mondo degli “umanoidi”. Anche le creature del sovrannaturale, di diversa natura e dimensione, convivono apparentemente in pace. Così vi sono draghi, korok, fate e altre innumerevoli creature, che vivono in armonia con gli umanoidi, pur a debita distanza, e con gli animali.
In ultima analisi, anche le creature malvagie che popolano Hyrule (Bokoblins, Moblins, Lizafos soprattutto) sono spesso raffigurati insieme, intenti ad arrostire qualche animale anziché farsi la guerra. Potremmo quindi pensare che condividano il cibo, e che quindi collaborino per la caccia e la cucina. (Ovviamente, qui non si intende affatto negare il grande potenziale di mettere insieme nemici diversi e con livelli di vita e forza differenti a beneficio del gameplay, ma sembra comunque una side note apprezzabile nel contesto).
4. Il femminile (e altre minoranze di genere)
L’unico gruppo sociale che manifesta un qualche astio nei confronti di un altro gruppo sociale è, per assurdo, proprio quello delle Gerudo, non di razza, ma bensì di genere. Come menzionato, nessun voe può entrare in città, neppure un eroe leggendario, il che mette il giocatore nella posizione di essere discriminato o discriminata per il genere del suo personaggio.
Pare che questa operazione sia fatta “in buona fede”, per invitare le donne Gerudo a cercare marito al di fuori delle mura della città in quanto è rarissimo che nascano uomini Gerudo. Fanno contrappunto I Goron, indicati come uomini, ma ai quali è permesso comunque entrare in città – probabilmente per via del loro petto prominente e della assenza (visibile) di genitali. Reddit ha portato alcune delle affermazioni più creative sulla sessualità dei Goron, definendoli addirittura privi di genere sessuale, nonostante si riferiscano a loro stessi utilizzando per lo più utilizzando i pronomi maschili. Ad ogni modo, possiamo convenire che sono quantomeno logicamente non binari (come i Namecciani, per intenderci).
Oltre alle Gerudo e ai Goron, che rappresentano sicuramente degli schemi di genere diversi da quelli a cui siamo abituati, uno dei dettagli che sorprende di più è quello della rappresentazione dei generi all’interno del sistema lavorativo di Hyrule. In ogni popolo, i diversi mestieri (negozi, alimentari, gente che ara i campi, persone nelle locande) possono essere ugualmente compiuti da creature femminili e maschili, senza nessuna distinzione.
Anche gli scienziati, Robbie e Purah, mantengono questa divisione. Vi è un ulteriore dettaglio che rende particolarmente piacevoli queste rappresentazioni: tali personaggi esistono non in maniera forzata, ma del tutto naturale. È difficile domandarsi la ragione per cui un personaggio è maschio o femmina: appare semplicemente così com’è, e il genere non è questionato più di tanto (tranne per i Goron, per i quali rimane un mistero). Una piacevolissima utopia.
5. I campioni
La creatività e la fuga dai tropes è rappresentata anche per i personaggi più importanti di BotW, i cosiddetti campioni: eroi che hanno aiutato Link nella prima battaglia contro Ganon: Mipha degli Zora, Daruk dei Goron, Revali dei Rito e Urbosa delle Gerudo. I quattro campioni sono definiti in maniera attenta sia nella caratterizzazione fisica che in quella comportamentale, e ognuno presenta un rapporto particolare con il nostro eroe o con Zelda.
Anche in questo caso, le figure di Mipha e Urbosa non hanno nulla da invidiare alla loro controparte “maschile” ed esprimono il loro carattere e le loro idee nella maniera più naturale possibile. La caratterizzazione individuale, delle aspirazioni e delle attitudini, dei campioni è talmente forte da non lasciare spazio a riflessioni sul loro genere o anche solo sul loro aspetto fisico (tranne gli addominali di Urbosa. Perché quelli sono bellissimi).
6. Zelda
La rappresentazione di Zelda è probabilmente una delle migliori nella serie. Anzitutto, ha delle aspirazioni, anche diverse da quelli che sono i suoi doveri di principessa – sappiamo che fa esperimenti sui Guardiani e si diletta con la tecnologia degli Sheikah. Zelda stessa ha difficoltà a fare l’eroina vera e propria e trovare il potere che le permetterà di sconfiggere Ganon, preferendo dedicarsi allo studio. E anche Zelda è un personaggio che condivide il fallimento di Link: è costretta a resistere contro Ganon, ma dal suo canto, deve attendere Link per annientarlo definitivamente.
Prima della battaglia, deve sopportare le voci degli abitanti di Hyrule, che sostengono che lei non sia degna del trono che le sarà dato. Dopo la battaglia, dovrà affrontare l’idea di aver perso i suoi amici, di aver ritrovato Link, la cui memoria è ancora incerta, e di dover ricostruire il regno.
Menzione va fatta al vestiario di Zelda: spesso si è messo in luce come, nell’ambito del videogioco, si tenda ad avere una visione “oversessualizzata” e “impropria” (si pensi alla comodità delle armature che non coprono i punti vitali, per esempio) dei personaggi femminili. Questo non vale affatto per Zelda, che indossa anzitutto diversi capi di vestiario (tra cui, molto spesso, pantaloni se è in viaggio con il resto dei campioni o con Link) e che, pur mantenendola un personaggio esteticamente piacente, non scadono mai nella sessualizzazione becera.
A paragone con Link, Zelda regge bene il confronto. Anzi, mentre il nostro eroe tende a seguire quasi pedissequamente ciò che gli viene indicato (tranne il mio Link, che si diletta a picchiare i polli), mentre Zelda ha aspirazioni e volontà ben chiare. È la prima a sentire la necessità di pensare alla ricostruzione di Hyrule, così come ha l’idea di andare a trovare i relativi dei campioni, per portar loro conforto e il messaggio che lo sforzo dei loro beneamati non è stato vano. Zelda è proattiva. Link rimane silenzioso, senza volontà al di fuori di portare a compimento i suoi doveri, con ben poca possibilità di scelta per il giocatore. E funziona benissimo.
7. L’accettazione dell’ineluttabile: un lieto fine agrodolce
Una delle cose che annovera BotW tra i videogiochi con le migliori narrative è la costante nota agrodolce che si mantiene durante tutto il corso del gioco. BotW mantiene ancora la leggerezza dei primi Zelda, ma vi è quasi sempre un dettaglio melanconico, tanto nella solitudine delle ambientazioni, quanto nei ricordi. Sconfiggere Ganon, cioè il Male assoluto, non è comunque una vittoria. Quando Ganon va via non porta con sé la distruzione portata a Hyrule durante la sua permanenza.
Ogni volta che si viene a conoscenza di qualcosa in più sui nostri compagni di viaggio, veniamo anche a conoscenza del fatto che quelle avventure non torneranno più, perché i nostri compagni, assolta la loro missione, non faranno ritorno.
Anche Zelda e Link, sconfitto Ganon, non possono adagiarsi sugli allori: devono risolvere lo strascico della devastazione. I campioni non possono fare ritorno, Hyrule non può tornare indietro. E qui è probabilmente racchiusa l’espressione più alta della narrazione di BotW: quella dell’ineluttabile, a cui l’uomo (o l’hylian, nel nostro caso) non può porre rimedio. E in tutto ciò, riescono comunque a proporre un lieto fine: si può sempre rinascere dalle macerie. Ancora una volta, il Bene ha trionfato sul Male.
E ciò che è più bello è che BotW fa tutto silenziosamente, alle spalle delle polemiche sulle rappresentazioni, su ludologia e narratologia, dimostrando la loro sterilità. BotW non forza l’identità dei suoi personaggi, ma anzi, li rende con originalità e inventiva. La critica incredibilmente positiva e l’altissimo numero di vendite dimostra quanto il mondo dei videogiochi sia in realtà molto più inclusivo di quanto si pensi, e alcune preclusioni mentali del tutto infondate. E i game developers dovrebbero iniziare a tenerne conto.
[Quello che avete letto è un misto di cultura videoludica e osservazione personale. Credo che sia dovere di ogni scrittore precisare che la propria esperienza di gioco non è per forza l’esperienza di gioco di tutti, e potrebbero quindi esserci dettagli che non ho tenuto in considerazione che potrebbero non essere analoghi alla mia interpretazione. Nel caso, vi prego di lasciare un commento, così da poterci ancora lavorare su.]