Cassadritta - Teknival is not dead
"Cassadritta" di Roberto Grossi, edito da Coconino, è un tuffo nell'età dell'oro della tecno, nel sogno delle T.A.Z. che sfaldano il sistema.
“Cassadritta” di Roberto Grossi, autore completo, è un interessante graphic novel di Coconino Press – Fandango dedicato a un tema che quest’estate è tornato per un momento di grande attualità: il mondo dei rave, dei teknival, di una controcultura vitale e operativa che continua ad agire sottotraccia, fuori dai riflettori dei mass media fino a quando affiora come nel caso succitato.
Non intendiamo qui approfondire in particolare il caso di cronaca del teknival di Valentano nello specifico, per cui rimandiamo ad un autore letterario che del fenomeno si è occupato con passione come Vanni Santoni, autore di “Muro di casse” (Laterza), appassionata indagine di questa cultura. Vedi ad esempio qui un suo intervento
Altre analisi interessanti a cui si può fare riferimento si trovano qui e qui.
L’occasione può essere però valida per esplorare questo mondo, e assieme alla saggistica e al romanzo, un riferimento importante può essere appunto "Cassadritta".
La cura dell’opera si nota fin dalla scelta cartotecnica raffinata della cover, che riproduce con un alternarsi di cerchi lucidi e opachi l’effetto delle onde sonore che si dipartono dalla cassa centrale in copertina: la “cassa dritta” del titolo, come un monolite kubrickiano, che domina sospesa irrealmente nel vuoto un classico capannone industriale abbandonato, luogo iconico dei rave sul passaggio di millennio tra anni ’90 e anni 2000, qui colto subito prima – o subito dopo – l’evento.
Il carattere a cristalli liquidi del titolo torna nei titoli interni dei vari capitoli di "Cassadritta", equiparati ad altrettante “track” su un supporto del periodo, come l’autoradio che fa subito la sua apparizione nella track due, con un gruppo di protagonisti che si dirige alla ricerca del luogo dell’evento.
Grossi descrive questo mondo, intuiamo subito, con competente partecipazione, mostrandocene le convenzioni e i rituali in tavole di un bianco e nero con un tono di grigio, dal segno realistico ma morbido, che si sposa in modo congeniale alla scena raffigurata: l’evento notturno che sta al centro della narrazione infatti si presta ottimamente a un netto contrasto di bianchi e neri, stagliati dalle violente luci artificiali che illuminano il teknival.
Il tratto realistico dell’autore si accompagna bene ad un certo naturalismo del racconto: le vicende sono presentate in "Cassadritta" senza infingimenti (non si edulcora né si moralizza, ad esempio, la presenza delle droghe tipiche di questa cultura) e con l’attenzione alla costruzione dell’atmosfera tramite dialoghi asciutti e situazioni credibili, per calare il lettore in questo mondo di un quarto di secolo fa, in un 1995 tutto sommato sia vicino – la controcultura dei teknival è viva tutt’oggi, come detto – sia lontano (si nota l’assenza di internet e dei cellulari che, senza romanticismi eccessivamente gridati, contribuisce al clima epico dell’evento controculturale: per quanto siano proprio queste controculture ad essere pionieristiche nello sfruttare le tecnologie, ora ed allora).
Sotto il profilo del montaggio della tavola, va notato che si adotta in prevalenza una classica griglia all'italiana, di modulo 2x3, ma non mancano tavole dalla struttura più complessa, specie nelle scene connesse ai momenti centrali del teknival, dove la maggiore frammentazione della pagina pare essere un correlativo oggettivo del ritmo martellante della tecno.
Similmente, in "Cassadritta" non si sceglie l’adozione del punto di vista esclusivo di un “eroe” attorno cui far ruotare la vicenda, magari con un classico “cammino dell’eroe” trasformativo, che potenzialmente si presterebbe alla narrazione di un “grande evento” atteso. La scelta, invece, è per un romanzo corale, con una pluralità di personaggi tra partecipanti e organizzatori che si alternano sia nei cambi di scena spaziali, interni ai singoli track/capitoli, sia in quelli temporali, segnati dai “rewind” e “fast-forward” che spesso marcano il passaggio tra i vari capitoli.
Il tutto pare evocare la percezione turbinosa, frammentaria, abbastanza casuale di questo tipo di eventi visti dall’interno. Di nuovo, spicca però l’attenzione di Grossi a una resa precisa di quanto accade: il “grande rave” è una scena topica in film e anche fumetti in cui è una ambientazione di sfondo che si presta bene alla “discesa agli inferi” dell’eroe, ma di solito la resa è approssimativa (anche, certo, perché non è il vero fulcro di interesse). Qui invece i vari dress-code sono precisi e differenziati tra i personaggi, giacche, acconciature, magliette, soprannomi creano una foresta di simboli baudelariana in cui il lettore può cogliere un ulteriore spessore.
Ne citiamo due, tra i pochi apertamente fumettistici: Torazina, che è l’incaricato di procurare le sostanze psicotrope, come dichiara il nome parlante, veste una t-shirt di Doraemon, che nel cartoon ha il compito di fornire a Nobita e ai suoi amici gli strumenti tecnologici per meravigliose avventure. Appare inoltre una presenza significativa, quella di Ranxerox, che vediamo ballare ben dissimulato nella folla di suoi simili del teknival. Una dichiarazione di filiazione da quella generazione cannibale del fumetto: e le scelte del segno, del resto, pur nell’autonomia stilistica, possono a tratti far pensare a certi comprimari delle storie zanardesche di Pazienza. Là certo siamo negli ’80, e Zanna ha come sfondi più discoteche che teknival (e non gliene importa molto di nessuna delle due, meraviglioso, pericolosissimo nichilista).
In "Cassadritta" invece traspare forte il sogno delle “T.A.Z.” le Temporary Autonomous Zones ipotizzate nel 1991 da Hakim Bey, che ritorna anche nelle parole ispirate, profetiche e allucinate, dei protagonisti: “È ora di togliere il coperchio che copre questa città di macerie. Questa gigantesca pentola dimenticata sul fuoco a bollire… piena di rabbia covata, di frustrazioni represse, di costrizioni subite. Togliamo il coperchio. Facciamoli ballare!”.
Naturalmente, vi è anche la peculiarità specifica della scena romana, sorta come spiega l’autore intorno al 1994, ma al contempo emerge la voglia di parlare di qualcosa rilevante di tutta una controcultura in seguito sopita (come lascia intendere l’asciutto finale) ma che al contempo continua a covare sotto la cenere: esattamente come quest’opera, concepita dall’autore all’epoca delle “zone temporaneamente mutanti” e pubblicata oggi, vent’anni dopo, anche in ragione di un mutato contesto produttivo del fumetto più orientato ormai al mercato librario, che lascia maggior spazio ad operazioni di questo tipo.
In fondo, negli anni ’90, quelle TAZ musicali dei teknival erano l’anticipazione più concreta e immanente del cyberpunk che, dichiarato beffardamente concluso dai suoi due papi, Gibson e Sterling, con l’inizio dei ’90 e il loro "The difference engine", trovava però in quegli anni diverse sue anticipazioni.
Oggi il futuro cyber è ormai arrivati, e siamo ai primi capitoli di un grande e terrificante romanzo ipertecnologico. Sembra sopita la componente “punk” di quella terminologia, ma opere come questa e le temporanee insorgenze nel reale ci ricordano della loro esistenza, per quanto carsica e liminale, come in attesa dell’opportuno brodo di cultura per infinite potenziali risorgenze. In fondo è in questi interstizi del sistema che si cela una possibilità di una tensione mistica autentica, dervisci rotanti nell’era della matrice spezzata.
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Cassadritta
di Roberto Grossi
Coconino Press, maggio 2021
brossura, 224 pp., b/n
20,00 €