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Call of duty Modern Warfare II - Il ritorno del re

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È inutile negare che i giocatori di Call of Duty, una serie praticamente a cadenza annuale, aspettano soltanto che la rotazione triennale faccia il suo ciclo e la palla torni di nuovo a Infinity Ward.

Parlare di Call of Duty ogni anno può essere tedioso: stare lì ad elencare una serie di qualità o mancanze anno dopo anno cercando di non ripetersi (spoiler: questo accadrà comunque) è spesso sterile, specialmente per un non professionista come me. Eppure c’è sempre almeno un evento che ti fa trovare le forze di affrontare l’argomento ancora una volta, di difenderlo a spada tratta contro le costanti minimizzazioni della critica e contro uno stuolo di giocatori che lo snobbano, e questo evento coincide sempre con il ritorno sul mercato di Infinity Ward, ma facciamo un passo indietro.

 

Quando uscì il primo Modern Warfare ormai troppi anni fa fu rivoluzionario, sotto certi versi, per approccio alla materia trattata e, quando ancora le campagne single player avevano un senso, riusciva comunque ad essere un gioco che offriva al giocatore “singolo” un’esperienza derivativa ma non priva di spunti interessanti, rubacchiando qua e là dalla narrativa di Tom Clacy e dai suoi amici del Tecno Thriller, un po’ dalla cronaca, il nastro della storia che non ancora dipanatosi del tutto era ancora ammantato di grigi timori, quell’incapacità di dare un giudizio morale netto su fatti ed eventi le cui ripercussioni, come un’onda di terremoto, arrivavano a far vibrare i bicchieri anche nelle distanti cristalliere della provincia italiana.

Modern Warfare è sempre stato un capitolo squisitamente politico, forse quello più politico, lontano sia dall’epos della Grande Generazione e della loro lotta contro il Nazismo che dalle dietrologie di Black ops. (per quanto consideri il primo capitolo uno delle migliori re-invenzioni della saga). È impossibile non pensare a Modern Warfare come un sottoprodotto dell’11 settembre che ricontestualizza tutta una serie di paure da guerra fredda servendole sul piatto dello stato di guerra costante, sotterranea ma combattuta tra le forze occulte contrapposte del caos e dello status quo ed il memento, veramente triste, che in qualche parte del mondo, qualcuno sta combattendo, qualcuno sta morendo.

 

Della serie, il secondo capitolo è per tutta una serie di motivi tra i più amati della saga, un po’ perché la supercazzola bellica aveva il giusto compromesso tra “aprire” e “chiudere” tutto, un po’ per alcune delle missioni più ispirate (impossibile non ricordare con affetto il momento Alba rossa, pietra miliare del cinema anni ’80, in pieno edonismo raeganiano) e per quella fantomatica missione, No Russian, che ha acceso il dibattito su cosa fosse legittimo o meno mostrare in un videogioco, che ti poneva la scelta, ancora prima dell’avvio della campagna, di “spegnere” suddetta missione, di saltarla, per il suo contenuto controverso e violento, in un epoca ancora non conclusa di sparatorie sulla folla.

 

Perché, insomma, sparare sulla folla in aeroporto, impersonando un agente CIA, sotto copertura in una banda di terroristi russi, che alla fine viene tradito, ammazzato, lasciato sul luogo del delitto come prova per legittimare un attacco russo su suolo americano.

 

È moralmente ambiguo, complesso nelle sue fonti di ispirazione, nei suoi risvolti sia etici che morali, in quello che fai in gioco, e in quello che rappresenta come discorso generale il fatto che il contesto sia credibile in un mondo che di attentati terroristici ne vedeva abbastanza.

Per tutta questa serie di motivi, il secondo capitolo della serie Modern Warfare è ammantato da un legittimo valore “storico” per la cultura del videogioco, se già il primo apriva una finestra nelle camerette che affacciava sul mondo, con tutta una serie di dinamiche ludiche che si allontanavano una volta e per sempre dagli sparatutto fantascientifici, il secondo letteralmente ti poneva dinanzi una serie di scelte morali, chiaramente che non influenzavano l’esito del gioco, ma che comunque portavano ad un minimo di riflessione.

 

E arriviamo a Novembre 2022, Modern Warfare II (non 2, per non fare confusione) il sequel del soft reboot (le fragnacce che ci siamo inventati per giustificare la continuity) del 2019 che aveva defibrillato Call of Duty dopo il suo periodo di mimesi fantascientifica molesta, fatta di armi sgravate e avatar che rimbalzano sulle superfici come palline da pingpong (perdonaci Titanfall, non siamo stati degni della tua grandezza).

 

Il primo era ottimo, “il titolo che mi ha ributtato dentro gli sparatutto online” con la subdola complicità della pandemia. Dopo due anni di capitoli “mezza botta”, l’osceno multiplayer di Cold War e il compitino di Vanguard, minimo sindacale, sfornati più per alimentare la macchina stampasoldi di Warzone, finalmente possiamo giocare un nuovo capitolo della serie “spina dorsale” che detta il passo sia estetico che tecnologico delle produzioni degli anni a venire, di nuovo tra le solide mani di Infinity Ward, che se pure non reinventa la ruota, quando è in mano loro è innegabile che giri meglio.

Modern Warfare II arriva in un momento topico nella storia dell’industria dei videogiochi, l’acquisizione di Activision Blizzard da parte di Microsoft, tenuta ancora in stallo dalle autorità antitrust di mezzo mondo, dopo che l’onda lunga del #MeToo ha scosso i vertici dell’azienda rendendola un boccone abbastanza ghitto da parte dello squalo verdecrociato.

 

Acquisizione che proprio su Call of Duty fonda la sua pietra angolare: titolo egemonico dal punto di vista strategico che da solo condiziona il mercato in quanto non ha nessun competitor diretto nel campo da gioco degli sparatutto bellici, mentre Battlefield saluta con la mano dal basso della sua peggior uscita di sempre.
Questo per lasciar intendere un attimo il volume di (fuoco) dei giocatori che ogni anno si rivolgono a CoD per il loro intrattenimento, in barba appunto a tutti coloro che ne fanno una questione semplicistica di “gioco sempre uguale”.

 

Che poi non è nemmeno vero: quando lanci una partita saltando da un gioco all’altro senti tutte le differenze, la stessa differenza che passa tra il cielo e la terra, la senti sotto i tasti del pad, la riscontri negli effetti particellari, nelle mappe, nei colori ma soprattutto nei suoi.
Se c’è una cosa che restituisce immediatamente la cura nei datagli del gioco è il suo importante comparto sonoro, peculiare per ogni arma, vibrante e convincente di realismo fatto di scatti, colpi e vibrazioni.

 

Ancora di più dei colori (che forse su PS5 mi sono sembrati un po’ smorti) e texture non proprio freschissime, ma comunque.

Al nuovo Modern Warfare si gioca molto bene pur non perdendo di vista quelli che sono croce e delizia della serie, ovvero un metagioco un po’ troppo sbilanciato sulle mitragliette, privilegiando lo stile aggressivo “run n gun” ma non senza, a mio avviso, una serie di aggiustamenti che invogliano il giocatore a sperimentare un po’ di più rispetto al solito. Ma andiamo con ordine.

 

Il sistema di progressione è completamente rivisto: se prima l’armeria permetteva di declinare l’arma secondo le nostre inclinazioni, adesso ha raggiunto livelli sartoriali inediti per la serie.

 

Più armi, meno livelli per arma, ma soprattutto una progressione ramificata organizzata in blocchi d’arma che raggruppano tutte le armi della stessa famiglia, sbloccabili proseguendo non in maniera lineare ma seguendo le diramazioni.

 

Non più 60-70 livelli per sbloccare tutte le componenti dell’arma, ma un level cap che oscilla tra i 15 e i 25 (grossomodo) inframezzando alle componenti, i modelli successivi delle armi, che culmina con la calibrazione delle singole componenti aggiuntive.

Considerando come negli altri titoli il meta fosse pesantemente condizionato da un fucile d’assalto molto versatile e bilanciato in partenza per venire incontro a più giocatori possibile, ora questa cosa succede molto di meno perché gli sblocchi restando ancorati ad un solo fucile sono molto limitati e le varie componenti (se ne possono montare solo 5, quindi anche qui bisogna essere strategici nelle scelte) si ottengono “livellando” le altre armi.

 

Il concetto di non linearità proposto nello sviluppo delle armi è un punto nodale anche nel nuovo battlepass. In un mondo videoludico che ha ormai interiorizzato le stagioni distribuite lungo un “nastro” splittato in gratis e a pagamento, CoD gestisce il suo nuovo battlepass disponendo le ricompense lungo un tabellone raffigurante una mappa. Ogni territorio è diviso in quattro ricompense più una sbloccabile solo dopo aver preso le altre quattro. La progressione all’interno della mappa procede in adiacenza ma permette di seguire con una rotta personale sbloccando quelle che sono le ricompense più interessanti secondo il nostro gusto (nel mio caso specifico, nuove armi e monete, in quest’ordine).

Sarebbe stato ottimale poter piazzare i gettoni sulla mappa in totale libertà e alla fine la sensazione è un po' quella di una scelta forse un po' indirizzata verso certe direzioni ma è una questione di gusti, pur apprezzando tantissimo lo sforzo fatto per aggiornare un modello di business (prima che di gioco) che in altre incarnazioni coeve ha scoperto il fianco a non poche critiche (un saluto agli amici di Overwatch e di Halo Infinity).

 

Parlando di cose più triviali, nel nuovo CoD si spara molto bene nonostante non sia facile o immediato giocare in maniera performante. A differenza di Vanguard, il ritmo di gioco è più posato, le modalità di gioco classiche sono sempre da 6v6, accantonando l’esperimento dell’iterazione precedente di variare il ritmo delle partite riducendo o aumentando i partecipanti. La questione del peso delle armi incide in termini sostanziali quando è essenziale per la buona riuscita del gioco capire come muoversi e dove posizionarsi in rapporto alla mappa, anche in funzione del tipo di gioco che facciamo, che se pure è più facile sparare con le armi da cecchino e tiratore scelto rispetto ai pezzi di ferro di Vanguard, queste non sono sempre la scelta più adatta nelle situazioni incasinate in un gioco che continua a prediligere la rapidità e la violenza dello scontro, con un time to kill un pelo aumentato rispetto al capitolo precedente, ma comunque ribilanciato dal fatto che le armi di Modern Warfare fanno effettivamente più male e una scarica di mitra dietro al collo la senti arrivare dopo che sei andato giù.

Le mappe sono un altro motivo di gioia (o dolore, dipende dai punti di vista) dal momento che sì, sono più ampie, strutturate con un pensiero spaziale dietro che può essere sensato e credibile (l’hotel ad Amsterdam credo sia ancora in causa per la sua riproduzione non autorizzata) e non solo un continuo rimbalzare tra coperture, piazze e corridoi. È completamente abbandonata la struttura a tre line che caratterizzava molte delle mappe di Vanguard e in termini di gioco si traduceva in una assoluta prevedibilità della disposizione delle truppe, in “giri” che erano sempre uguali e che una volta assimilati erano facile terreno di caccia. Non dico che nelle nuove mappe non ci siano delle routine a caratterizzare il meta, ma che queste sono molto più numerose, meno prevedibili, più varie e soprattutto che non restituiscono un vantaggio strategico assoluto, favorendo l’equilibrio delle partite. È molto raro che un team rushi sull’altro (se non in partite tipo postazione, e pure lì…) e gli scontri sono generalmente molto combattuti fino all’ultimo.

 

Mi sento inoltre di consigliare, almeno ai giocatori su PS5 di disattivare il crossplay: i giocatori pc rispetto a quelli console praticano un altro sport, ma non a causa della diatriba pad/mouse che è un discorso storicizzato e stagnante, ma proprio per tutta una serie di cheat che permettono di muoversi più velocemente anche con armi grosse, mirare automaticamente alla testa e sparare, correre saltellando, oscillare intorno ad un asse e, novità delle novità, mirare attraverso i muri e prendervi in testa come svoltate l’angolo. I cheater non rendono il gioco ingiocabile, si possono segnalare le azioni di gioco sospette dal replay della morte e si possono anche scegliere stili di gioco più “aggressivi” per ovviare a questi inconvenienti, ma comunque il punteggio e la qualità delle partite ne risentono pesantemente e anche quando portate a casa la partite più che intrattenuti siete esausti.

Per concludere, vale la pena aggiungere che questo è il primo CoD da un po’ di tempo a questa parte nel quale non primeggio naturalmente. Saranno i miei trent’anni che iniziano a farsi sentire, le diottrie che andrebbero aggiornate, una generale mancanza di concentrazione attribuibile alle questioni della vita che mi allontanano dal mondo digitale senza dispiacere, ma non ho più la media punteggio di Vanguard, per esempio, dove ero fisso tra i migliori giocatori della partita che vincessi o perdessi. No, qua si tratta proprio di dover re-imparare a giocare in un processo assolutamente non scontato di progressione attraverso i livelli, familiarizzazione con le armi e con i loro tempi e questa è la cosa che fino ad oma mi ha dato più soddisfazione, di nuovo pensare alle mie giocate, scegliere i punti per appostarmi e pensare come modificare un’arma, superando quell’automatismo videoludico che è l’anticamera della stanchezza e della noia.

 

Per gli amanti del miglior Call of Duty, Modern Warfare II è come tornare a casa dopo una vacanza e scoprire che vi hanno cambiato i pavimenti, la cucina ha una nuova piastra ad induzione, il materasso è un memory foam e le pareti sono state ritinteggiate di una sfumatura che valorizza meglio la luce naturale della stanza: la casa resta sempre la stessa ma è tutto è aggiornato al meglio in un mix di confort dato dalla familiarità ma migliorato nei suoi aspetti migliorabili.

 

Per tutti quelli che non giocano a CoD, che non si interessano al discorso che porta avanti, beh, mi sorprende siano arrivati a leggere fino a questo punto.

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