STAI LEGGENDO : Buffone, criminale, anarchico: filologia del Joker cinematografico

Buffone, criminale, anarchico: filologia del Joker cinematografico

Condividi su:

Ripercorriamo assieme la carriera cinematografica del Joker, tra interpretazioni spettacolari e sonori fallimenti, ricordandoci che la sua vera forza sta nell'essere un personaggio non definibile.

Se la 76ª Mostra Internazionale del Cinema di Venezia verrà ricordata per qualcosa, questa sarà certamente la standing ovation di 8 minuti per Joker, il film sul villain di Batman (ma senza Batman), diretto da Todd Phillips (quello di The Hangovers), prodotto da Martin Scorsese (quello di The Goodfellas) e interpretato da Joaquin Phoenix (che forse ricorderete per una lunga serie di film dove si è distinto per la sua intensità).

Ma mentre pochi sono stati ammessi alle proiezioni della Mostra, noi, pulsante massa ribollente di pensieri, pareri e opinioni non richieste, ci intratteniamo nei più beceri discorsi da bar sul tema Joker, dimenticando la cosa più importante: Joker è un villain per il quale lo spettatore non dovrebbe mai empatizzare.

Il Joker fa la sua prima apparizione cartacea nel primo numero di Batman (Maggio 1940) e si qualifica immediatamente come naturale contrapposizione dell’Uomo Pipistrello, il personaggio verrà spinto oltre, diventerà la vera e propria Nemesi di Batman nel senso più puramente classico del termine: nell’arco di tutta la sua carriera, il Joker riequilibra costantemente tutte le vittorie di Batman con le proprie, tanto che lo stesso crociato incappucciato verrà soverchiato dall’incapacità di mettere un punto alla loro faida.

 

Ma non basta.

Nonostante 80 anni di storia editoriale alle spalle non arrivi nell’immaginario collettivo del grande pubblico senza una magica compresenza di fattori che nel caso specifico chiameremo Tim Burton e Jack Nicholson.
Il Cinema, il grande divulgatore.

Quando si è voluto trasporre Batman per il grande schermo non ci sono stati dubbi sulla scelta del villain da contrapporgli e se siamo ancora qui a parlare dell’impatto del Pagliaccio Principe del Crimine di Gotham sulla cultura di massa lo dobbiamo alla straordinaria resa del personaggio ad opera di Nicholson, alle sue facce, alla sua risata e al suo controllo che mai lo fanno scadere nell’overacting.

Filologicamente non è così semplice.

Joker è un villain polimorfico, nel senso che il suo schema comportamentale non è “costante”. Questa peculiarità è un brillante espediente narrativo che permette a chi lo scrive una grande libertà di manovra, la domanda non è mai “cosa farebbe Joker?” Ma “quale comportamento faresti adottare alla tua visione del personaggio?
Questa regola interna viene palesata al lettore come ultimo scherzo della lunga run di Scott Snyder sul Batman dei New 52, quando Batman, avendo acquisito l’onniveggenza grazie ai poteri di Metron dei New Gods, chiede alla Mobius Chair di svelargli l’identità di Joker e quella gli risponde “Quale?”.

Pare esistano ben 3 Joker sulla Terra 0 del Multiverso DC, senza contare le svariate versioni alternative, reinterpretazioni, storie fuori canone e serie televisive animate e non, ma quanto questo sia un concreto elemento narrativo o un simpatico scherzo metatestuale non ci è dato saperlo, almeno fino all’uscita della miniserie a questo segreto dedicata.

Di tutto ciò lo spettatore all’oscuro si comporta come chi, in una stanza buia, provi a identificare col tatto un elefante, percependo le singole parti come oggetti distinti.

Per la prima fase della sua carriera, che definiremo da adesso in poi come “classica”, è facile identificare il Joker con l’interpretazione che ne dà Cesar Romero nella serie televisiva degli anni ’60 dedicata a Batman, una versione edulcorata della controparte cartacea come era del resto intesa la serie. Abbastanza efficace volendo tralasciare tutto quell’eccesso di camp.
Un pagliaccio letale, un ricattatore con il gusto per la teatralità e un pessimo senso dell’umorismo e cattivo gusto nel vestirsi.

Il Joker “moderno” nasce invece nel 1988 ed è firmato da Alan Moore e Brian Bollard.
The Killing Joke è probabilmente la storia più famosa legata al personaggio. In un solo colpo, Moore svela il passato di Joker (l’unico che io riconosco come canonico, checchè possano dirne in DC), rende paraplegica Barbara Gordon e spiega il motivo della dualità tra Batman e Joker, dualità che somiglia molto ad una simmetria.

E segna un passo.
Il Joker di Nicholson prende tantissimo da quello di Moore, così come anche quello che vediamo doppiato da Mark Hamill nella serie animata degli anni ’90 e nei videogiochi Batman Arkham di Rocksteady.

Praticamente un gangster che ha “sfruttato” la sua instabilità mentale per scalare i ranghi del crimine di Gotham.

Il Joker “contemporaneo” nasce da una frattura, una frattura che chiameremo Heath Ledger.

Nella sua opera di realistica contestualizzazione del personaggio di Batman al tempo presente, Nolan ha reso il Joker un’anomalia del sistema, non ha un corrispettivo cartaceo, non ha un’identità, è sfregiato, sporco, sadico, anarchico. Un’anarchia fine a se stessa che gli fa tirare su un piano lungo due ore di film senza nessuna ragione apparente ma solo perché è in grado di pensarlo, non prova nessun tipo di empatia, non persegue nessun fine se non la realizzazione di uno stato di disordine e il completo azzeramento della società.

L’onda lunga di questa dissonanza fu pesante per le stesse cause che portarono al successo il Joker di Nicholson: un Nolan in stato di grazia nonostante i manierismi, un’interpretazione di Ledger entrata nella storia del cinema e suggellata da un oscar postumo.

Se da un lato la Trilogia del Cavaliere Oscuro di Nolan era comodamente impacchettate per godere di una propria autonomia di opera chiusa, fruibile indipendentemente da qualsivoglia media esterno, dall’altro il Testamento artistico di Ledger fu una pratica pesante da esplicare.
Un’intera generazione si era accostata al personaggio di Batman con i film di Nolan, il suo approccio realistico alla mitologia del Cavaliere Oscuro fu un biglietto di sola andata verso l’insuccesso di tutti i personaggi maggiori portati al cinema dalla DC negli anni successivi.

Joker

Man of Steel fu divisivo, volendo essere gentili.
Batman v Superman fu un bagno di sangue.
Justice League, praticamente un aborto.

Come nell’eterna rivalità tra le Divine Scuole di Hokuto e di Nanto, al brillare di un’etichetta corrisponde l’oblio dell’altra, e mentre la Marvel portava a casa milioni e uno dei suoi film migliori con i personaggi praticamente sconosciuti dei Guardiani della Galassia, la DC provo a lanciare il team di bad boys, la Task Force X a.k.a. Suicide Squad.

Immediatamente diventa il paradigma su come NON fare un Cinecomics di successo.

Il Joker di Jared Leto è uno dei villain più ingiustamente bistrattati, sottosfruttati e odiati dal pubblico.

Gli spettatori si trovarono davanti un personaggio difficile da decodificare, specialmente avendo come riferimento il Joker di Ledger.
Ma diciamo anche che non fu nemmeno completamente colpa degli spettatori, se consideriamo come aggravanti lo screentime risicato, un ruolo da mera side-story rispetto all’imbarazzante trama principale a base di divinità sumere in brutta cgi.

Joker

Il Joker di Leto è un edonista, ha un look sfarzoso e ricercato, eccessivo, tra un trapper e un Casamonica, il suo rapporto con la Harley Quinn di Margot Robbie è di chiaro abuso emotivo.

Condivide la stessa “origin story” con il Joker di Nicholson (pare) o di Moore, in quanto viene mostrata l’iniziazione di Harley proprio con la famosa caduta in una vasca di acido della ACE Chemicals. È organizzato, metodico, al vertice di una gerarchia piramidale ben inserita sul territorio di Gotham, guida una Lamborghini viola. Ha ucciso un Robin, o forse è lui il Robin impazzito dopo uno scontro con un ipotetico Joker precedente, come voleva una fan theory in voga ai tempi.

Il pubblico lo odiò, odiò il film, ogni singolo personaggio tranne Margot Robbie negli attillati panni di Harley Quinn, ma questo forse perché nessuno può odiare Margot Robbie.

Il Joker di Leto è tutto quello che il Joker di Ledger non era, non ha nessuna brillante linea di dialogo, nessuno monologo su come lui è una reazione alla società, è anomalo, pieno di potenziale inespresso ed è quello che filologicamente si ricollega ai fumetti, a Nicholson e alla serie animata, rappresentandone una naturale evoluzione.

Il punto della questione è che sotto il cerone da clown del joker di volta in volta vengono nascoste le pulsioni inarrestabili, l’orrore profondo, l’alienazione dell’uomo nella società moderna.

Attraverso le varie incarnazioni, il Joker si è evoluto per mantenere sempre costante il livello di turbamento nel lettore/spettatore e continuerà a cambiare al volgere dei costumi della società per ridere dei limiti imposti dalla nostra tanto decantata normalità.

Empatizzare con lui dovrebbe essere impossibile per chiunque eppure quella costante simpatia che ci ispira, quel fascino malato che riesce ad esercitare nonostante il suo aspetto grottesco, è il modo in cui un personaggio, quando ben scritto, riesce a comunicare con il lato nascosto e inquieto della nostra anima e ci ricorda che tra noi è lui c’è solo una giornata storta e una caduta in una vasca di liquido chimico.

Questo articolo fa parte delle Core Story di N3rdcore di Settembre

related posts

Come to the dark side, we have cookies. Li usiamo per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi