A Tale of Two Halves - il libro sui giochi di calcio che vorrete
I giochi di calcio sono sempre stati uno specchio abbastanza fedele dell'evoluzione nel mondo dei videogoichi e questo libro è una bellissima lettera d'amore a questo mondo, anche quando si parla di titoli orribili, non solo del vostro amore per la Master League.
Con A Tale of Two Halves, Bitmap Books lo ha fatto di nuovo. Abbiamo tra le mani un altro di quei volumi che sono favolose porte verso il nostro passato: un baule di ricordi, curiosità e racconti. Stavolta, però, il focus non è su un genere specifico, ma su un mondo a sé: quello dei giochi di calcio.
In casa mia, il calcio è sempre stato bandito, sia per ragioni culturali sia per ragioni fisiche. Mio padre lo schifava profondamente: non sopportava il tifo e tutta la cultura che il calcio si porta dietro. Non che fosse un tipo snob, però sul calcio gli si arricciava proprio il naso. Non ho mai capito perché, e non gliel’ho mai chiesto. Per fortuna, questa sua idiosincrasia andava di pari passo con la mia coordinazione e forma fisica.
Ero un ragazzino grasso, senza fiato e con i piedi a banana. La porta era l’unico spazio in cui potessi stare appena spuntava un pallone, e col tempo fare il portiere è diventato qualcosa che mi piaceva. Fosse anche solo per vedere la delusione negli occhi dei ragazzini magri, atletici e ammirati, quando gli negavo il gol.
Per questo motivo, ho sempre fatto sport più peculiari: judo, pallanuoto, rugby. Ma il calcio restava quella cosa che si faceva a scuola e con gli amici, e quella cosa che, bene o male, mi ha accompagnato nei miei spazi videoludici.
Da quella specie di pong con lo sfondo verde per simulare un campo di calcio che ricordo su Atari fino all’ultimo FIFA, passando per PC Calcio, Sensible Soccer, Soccer Brawl, Super Sidekicks 2 e ovviamente le mille e mille ore passate con PES e la sua Master League. Posso scandire la mia vita in base a uno specifico tentativo digitale di portare in scena questo sport.
I giochi di calcio, in effetti, sono un’ottima cartina tornasole della storia dei videogiochi. Mantengono costante il “cosa”, ma variano continuamente il “come” in base alle tecnologie, al marketing e alle mode del momento. D’altronde, uno dei primi giochi a mettere un personaggio famoso sulla copertina è Pelé Soccer.
In questo cammino, A Tale of Two Halves è un'altra grande guida: anno per anno si analizzano i giochi di calcio usciti, evidenziando quali sono stati i migliori e quali i peggiori, quali hanno portato innovazione e quali si sono rivelati disastri. Ogni tanto ci si ferma anche a riflettere sulle tappe più importanti.
D’altronde, il calcio, dopo i classici giochi da tavolo come scacchi e dama, è stato uno dei primi sport — assieme al tennis — che si è cercato di replicare in qualche modo, vista la sua portata quasi mondiale. E questo nonostante spesso lo si cercasse di fare negli Stati Uniti, che il calcio l’hanno sempre visto come quella roba strana e noiosa dei cugini europei. Non a caso, alcuni dei primi esempi di giochi di calcio sono reskin di giochi di hockey.
Leggendo il libro, ci si accorge che riuscire a distillare il calcio in un videogioco è stato un compito difficilissimo. Per quanto le sue basi siano semplici, non si può dire lo stesso delle mille sfumature necessarie per catturarne l’essenza. Non si tratta solo di mettere 22 omini su uno sfondo verde, due porte e un fischietto. Ci sono le emozioni, i cori, le finte, quel senso di ineffabile indeterminatezza che può portare il Real Madrid a perdere contro l’ultima in classifica. Ci sono le lotte scudetto, le retrocessioni, il mercato, gli allenamenti.
Forse è per questo che negli anni abbiamo avuto tantissimi giochi di calcio, ciascuno concentrato su un aspetto particolare senza mai riuscire a cogliere l’insieme, anche quando erano titoli meravigliosi. Penso alle emozioni suscitate dalla schermata di un gol in Super Sidekicks 2, che non lega manco le scarpe a un gioco come Sensible World of Soccer, al quale però mancano alcuni aspetti che magari trovavi in giochi come Virtua Soccer, nel primo FIFA isometrico — con un’inerzia degna di un autocarro sul ghiaccio — o persino in PC Calcio, che tra l’altro incapsulava anche l’emozione di trovare un gioco di calcio decente in edicola a un prezzo basso.
E non sto nemmeno a raccontarvi l’amore viscerale avuto per anni con Winning Eleven/Pro Evolution Soccer, perché sono sicuro che è anche il vostro. D’altronde, a quell’amore, a quelle galoppate con Massaro e Schillaci e agli scontri tra Kashiwa Reysol e Jubilo Iwata è dedicata anche una parte di Vivere Mille Vite (sì, lo so, sono pessimo a fare questa mossa, ma che ci posso fare se ne ho già scritto?). Anzi, se proprio devo far schifo, mi autocito:
In quelle leggende nipponiche, che mi portarono a cercare con foga da ultrà una maglia dei Sanfrecce Hiroshima quando riuscii finalmente a farmi portare da padre in Giappone, si sfogava tutto l’agonismo del mio gruppo di amici con ore e ore di amichevoli in cui la tensione si tagliava col coltello. In quelle giornate liceali si ricreavano gli stessi meccanismi di quando da bambino iniziai a giocare a Street Fighter II, quel senso di prossemica rabbiosa fatto di sguardi, battutine, trash talking e ormoni da sfogare in cui amicizie si sfaldavano di fronte a una gollaccio brutto di respinta per riformarsi subito dopo quando si giocava in due contro due.
E in tutto il resto del mondo succedeva esattamente la stessa cosa: la meglio gioventù degli anni ’90 ha passato gran parte del suo tempo guardandosi in cagnesco durante i rigori, ignorando studio, famiglia, impegni e tutto il resto, chiusa dentro una bolla in cui per un pomeriggio non valevano ceto, provenienza, fisico, difetti di pronuncia, casini personali. La stessa meglio gioventù che magari oggi guarda male Fortnite.
Chi nega, mente.
La magia del calcio, quella sua capacità di annullare tutto per un breve lasso di tempo, stuzzicando contemporaneamente i nostri istinti più bassi e possessivi trovava in PES il suo alter ego digitale perfetto, che ci metteva dalla sua la sirena competitiva dei videogiochi sportivi. Che poi, alla faccia dell’isolamento videoludico, giocare assieme prevedeva vicinanza, chiacchiere mentre aspettavi, misurarsi nelle prese per in giro, gestire la bruciante sconfitta con l’amico che ti prendeva per il culo per la mezz’ora successiva.
Parte di questo, e molto altro, sono racchiusi dentro A Tale of Two Halves, che, oltre a essere l’ennesima, favolosa e curatissima edizione di Bitmap Books, aggiunge anche piccoli trivia per indovinare i calciatori famosi (ma ovviamente con nomi storpiati) a inframezzare gli anni e due segnalibri fatti come le stringhe di scarpa, tanto per rendere il tutto ancora più sontuoso.
Che dire? Secondo me dovreste comprarlo, perché tanto nel vostro passato c’è sicuramente la memoria di un gioco di calcio che aspetta solo di scaldarvi il cuore.